A cena con gli U2,
a pochi passi da Palazzo Ducale
di Luca Bonacini
Se le migliaia di fan, presenti al concerto degli U2, nel maggio del ‘87, avessero saputo che la mitica rock-band, si sarebbe recata a cena al Borso d’Este, ci sarebbero stati certamente problemi di ordine pubblico. Il patron Giulio Alvisi, attese le star fino a mezzanotte, li fece accomodare con la consueta cordiale eleganza, e riuscì anche a fargli mangiare modenese. Non era nuovo a quegli incontri, era stato al Pappagallo di Bologna, aveva aperto il Sole a San Donnino, trasformandolo da piola in ristorante di classe, aveva avuto il Girarrosto, aveva anche girato l’Italia e la Francia per vedere i big all’opera. Poi nel novembre del 1983, aveva deciso di aprire il Borso d’Este, intitolando il ristorante a un nobile gaudente, il primo duca Estense. Una radicale ristrutturazione, con mobili e boiseries di pregio, che coniugava classico e moderno, trasformarono la semplice pizzeria Ducale, nel ristorante più elegante della città, era per quegli anni la quintessenza dello stile e del lusso, e fu per lungo tempo il luogo dove andare a cena quando si doveva fare la migliore figura. Ubicato in piazza Roma, nell’angolo opposto al ristorante Oreste, altro colosso della nostra gastronomia, seppe da subito imporsi con una cucina ricercata, tradizionale e creativa. Mentre calava il sipario sulla Nouvelle Cuisine, Alvisi cominciava a proporre una cucina regionale rivisitata, distinguendosi per la raffinatezza dei piatti, per un’attenta scelta delle materie prime, e per una cantina tra le più fornite, il petto d’anatra, il pasticcio di fegato d’oca coi tartufi, i risotti e i crostacei alla catalana. Il locale era in un invidiabile posizione, accanto alla fonte d’Abisso, di fronte al parcheggio di piazza Roma. Vi capitarono incontri straordinari, i presidenti Francesco Cossiga, e Sandro Pertini, Jean Todt, Renè Arnoux, Luca di Montezemolo, Monica Vitti, Pietro Barilla, Gianni Versace, Licio Gelli, tutti accolti dal patron Giulio Alvisi, con aristocratico garbo ed eleganza. Essere sulla cresta dell’onda negli anni ’80 voleva dire, rimanere fino alle tre del mattino con Grace Jones assaggiando formaggi, oppure essere invitati al tavolo di Anna Oxa; o ancora avere il ristorante riservato dal presidente Andreotti che presentava un volume. C’erano personaggi, come Marino Chiavelli, ricchissimo, auto blu con autista, che sul tavolo voleva sempre un grande mazzo di rose rosse, e Dom Perignon, che offriva a chiunque fosse li, comprese le sue guardie del corpo, ai camerieri poi riservava ogni volta una mancia di almeno 500 mila lire. Era una Modena da bere, che lavorava sodo ma amava togliersi qualche capriccio, poi c’erano i tanti che arrivavano da fuori, facendo chilometri per apprezzare la cucina del Borso, e respirare quella atmosfera elegante e appartata. Tanti ricordi piacevoli, e molti incontri, fino alla chiusura nel 2003, per la volontà dei dinamici proprietari di intraprendere nuove sfide.
Pubblicato su Resto del Carlino 2011