Chateau d’Yquem 2012 non all’altezza: non verrà distribuito

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Perdite
Non berremo mai lo Chateau d’Yquem del 2012
di Antonio Tommacelli
Niente annata 2012 per lo Chateau d’Yquem. Lo ha comunicato un tristissimo Pierre Lurton: “Abbiamo tentato l’impossibile, ma la natura non ci ha dato altra scelta”. L’evento, rarissimo per la verità, è dovuto alle avverse condizioni climatiche e le piogge insistenti durante la raccolta hanno completato il disastro. Le diecimila bottiglie da sogno varrebbero una fortuna, ma sempre nulla in confronto all’immissione in commercio di un vino non all’altezza della sua fama. Peccato siano in pochi a pensarla così.
Dal sito Bibenda.it dell’Ais
un eccezionale approfondimento
su questo vino leggendario :
Nessuno come lui. Famoso, prezioso, conteso, longevo, intenso, costante, inimitabile. Château d’Yquem non è solo un grande vino, è anche e soprattutto un simbolo che va oltre le mode e le annate a nutrire da qualche secolo i sogni di tutti gli amanti di vino del mondo.
Verde-oro, oro antico, tè, ambra, mogano. Qual è il colore giusto per Yquem? Qual è la sua vera anima? Forse è inutile tentare di dare una risposta a questo enigma para-teologico e conviene limitarsi a constatare che il mondo di chi lo beve si divide nettamente tra chi si rifiuta di assaggiare una bottiglia di meno di vent’anni (per alcuni puristi trenta) e chi ritiene invece che si tratti di un dialogo aperto con un oggetto vivente capace sì di sopravviverci, ma che anche da molto giovane sa raccontare tutta la sua grandezza. Certo, la seconda posizione appare più saggia, ma non è questo il punto. Perché Château d’Yquem è un vino dall’evoluzione straordinaria, in grado di infinite trasformazioni nel tempo, impossibili da rincorrere e da catalogare; un vino vero, proprio per questo in grado di mettere d’accordo tutti sul suo valore intrinseco.
Partiamo subito con il chiarire per i pochissimi che non lo sapessero che si tratta di un Sauternes, cioè di un vino proveniente da una piccola enclave nelle Graves, a sud-ovest di Bordeaux, dove esiste un terroir molto particolare, perfetto per lo sviluppo della botrytis cinerea, quella muffa nobile che attacca i chicchi d’uva, ne perfora la buccia e provoca un appassimento sulla pianta, insieme ad una serie di altre trasformazioni chimico-fisiche che contribuiranno a caratterizzarne l’aroma ed il sapore. Un vino dolce, dunque, ma con una tale complessità e struttura da renderlo molto più adatto ad abbinamenti con pietanze salate che solo con dei dolci.
La storia della denominazione la si può quasi far coincidere proprio con quella di Château d’Yquem, che da sempre ne ha costituito la massima espressione. Le radici di questa tenuta, che si trova all’apice di una dolce collinetta proprio nel paesino di Sauternes, affondano ad oltre quattrocento anni fa, insieme a quelle della famiglia Sauvage che ne deteneva la proprietà. Nei decenni, a tappe successive, venne poi costruito il castello che ancora oggi accoglie sia i visitatori che le uve dei 113 ettari del vigneto circostante; un insieme di torri con tetti conici e recinzioni merlate ben visibile anche da molto lontano. Poi, nel 1795, una tappa importante, il matrimonio tra Françoise Joséphine de Sauvage d’Yquem ed il Conte Louis Amédée de Lur Saluces, che muore quasi subito, ma che dà così il nome alla famiglia che ha condotto l’azienda fino a pochissimo tempo fa, i Lur Saluces. Grandi guide sono stati i discendenti Romain-Bertrand, figlio di Françoise-Joséphine, sotto la cui gestione arriva il riconoscimento di unico Premier Cru Supérieur nella classificazione del 1855; Bertrand nei primi decenni del Novecento; Alexandre, che ha diretto Yquem dal 1968 al 2004, prima di passare il testimone al manager Pierre Lurton, a capo anche di Cheval Blanc.
Un cambio della guardia epocale, iniziato nel 1999 quando la maggioranza della proprietà è stata acquistata dal colosso finanziario LVMH, che possiede Maison di Champagne, griffe di moda e tantissimi altri marchi del lusso mondiale. Era forse un destino inevitabile per Château d’Yquem, quello di smettere di essere solo un vino e di entrare a far parte ufficialmente delle icone del lusso, per affrontare con la dovuta serenità finanziaria anche i secoli a venire. Eppure non c’è nulla, proprio nulla di finto e di industriale nel modo in cui viene fatto. Sempre uguale, sempre visceralmente legato al proprio terroir ed alla capacità degli uomini che vi lavorano.
Si parte da vigneti di Sémillon (80%) e Sauvignon (20%), il primo a dare volume e struttura, il secondo a dare finezza e aromi, radicati su suoli sabbiosi e sassosi, in grado di accumulare e restituire lentamente calore, perfettamente drenati oltre che da strati di pietre anche da qualche centinaio di chilometri di tubi messi a dimora nell’Ottocento; poi le mitiche marne blu e vari strati argillosi via via in profondità. Ogni anno, sistematicamente, si espiantano due o tre ettari e si procede ad un lento e costante ringiovanimento del vigneto, che si compie in un ciclo di quasi mezzo secolo. Altro ingrediente determinante è il clima, variabile, caldo d’estate, umido in vendemmia, spesso pulito da brezze, insomma perfetto per lo sviluppo della muffa nobile. Poi la scelta del momento della raccolta e la necessità di selezionare chicco per chicco, con continui passaggi in vigna, normalmente cinque o sei (ma anche fino a dieci), in un arco di tempo che dura almeno un mese e mezzo; dunque, con costi elevatissimi. Del resto gli operai sono uno dei grandi patrimoni di Yquem. Una ventina di loro, con le famiglie, da sempre vive quasi in una sorta di comunità, con la responsabilità del controllo e della conduzione di una porzione di vigneto. I terreni vengono concimati a rotazione quinquennale con il solo compost, così come non vengono mai utilizzati diserbanti chimici. In vendemmia si arriva a centoquaranta persone, tutte bravissime a saper selezionare ed a portare in cantina solo gli acini perfettamente disidradati provenienti dai 700.000 ceppi in produzione. Il grado zuccherino delle uve arriva a una concentrazione tale da raggiungere un livello alcolico potenziale nel vino che se ne ottiene pari a 20% vol. La pressatura avviene in tre tempi, con l’ultimo passaggio in una pressa verticale tradizionale, fino a giungere ad una resa complessiva che difficilmente supera i 9 ettolitri per ettaro, cioè un bicchiere per pianta. La fermentazione avviene in barrique nuove e dura per un periodo che può perfino raggiungere le sei settimane, quando il tenore alcolico si fermerà attorno ai 13,5% e gli zuccheri residui saranno circa 125 gr/l. Infine, una lunga maturazione in legno con continue colmature e soutirage trimestrali, che durano fino alla quarta primavera successiva alla vendemmia.
Ma nulla va dato per scontato, visto che nonostante la magia dei luoghi, non è affatto garantito che tutti gli anni ogni cosa vada al suo posto. La variabilità di produzione è impressionante. Si va dalla quasi totalità destinata ad Yquem in annate come l’89 o la ’90, fino al nulla delle annate molto sfortunate; nel Novecento, infatti, i millesimi non imbottigliati sono stati ben nove: 1910, 1915, 1930, 1951, 1952, 1964, 1972, 1974 e 1992. Del resto, neanche tutte le barrique che hanno intrapreso il percorso giungono fino alla fine, perché il controllo è rigidissimo e quelle non degne vengono vendute come Sauternes generico senza marca, in alcune annate come la 1979 addirittura i 4/5 della produzione, anche perché Château d’Yquem non propone un second vin. Ma le sue unicità non si limitano alla fase produttiva e si estendono alla commercializzazione, visto che a differenza degli altri cru bordolesi non viene mai negoziato ufficialmente prima della sua messa in bottiglia, attenuando ma non eliminando le speculazioni dei négotiant.
Da qui iniziano poi tanti passaggi di mano, con mille storie, mille avventure che sarebbe bello raccontare una ad una e raccogliere in un immenso libro. Del resto, non c’è asta al mondo che non si chiuda con qualche sua bottiglia almeno ultradecennale, a volte addirittura con il livello molto basso, a testimoniare temibili perdite di liquido. Bottiglie che poi, spesso, finiscono per sorprendere per la loro integrità e la perfetta bevibilità. Ma cosa attendersi allora dall’opera del tempo? E come va bevuta una bottiglia del genere? Risposta semplice, perché i grandi vini hanno diverse chiavi di lettura, una stratificazione che li rende buonissimi ed accattivanti al palato dei neofiti, complessi e profondi come non mai a quello degli esperti. Insomma, i grandi vini sono per tutti.
E sono grandi per questo, in qualunque fase della loro vita. Yquem da giovane fa sentire la sua dolcezza ed avvolge con sensazioni fruttate, burrose, iodate e vanigliate. Poi a vent’anni comincia ad evolvere verso sentori più maturi, di dattero e frutta tropicale disidratata, con ancora una bocca dolce e segnata da tante spezie ed un filo di affumicatura. A quarant’anni comincia a spingere sull’acceleratore e tira fuori con prepotenza l’impronta del terreno, con una profonda mineralità e spezie ancora più complesse, per una bocca che sa mantenersi freschissima e che perde buona parte della sua impronta dolce. Yquem con il tempo si integra, e dopo altri vent’anni si fonde in un tutt’uno, con lo zucchero inscindibile ai sensi, per sensazioni via via sempre più difficili da raccontare, come le note di tè verde e tabacco da pipa fuse ad un frutto che rinasce quasi più fresco degli inizi. Infine gli Yquem centenari, che raccontano di note chinate, cuoio, della stiva di una nave coloniale dal ritorno dalle Indie. Ed è bello mangiarci con questi vini. Il piacere deve essere completo, senza mezzi termini, deve affondare nella vera e profonda anima e funzione del vino. Degustare asetticamente un tale capolavoro è come pensare all’amore fatto in un laboratorio. Un grande Yquem vuole il cibo, magari anche un formaggio, un Roquefort, ma molto meglio grandi piatti altrettanto complessi, a base di foie gras o di maialino o perfino di piccione, per i millesimi più vecchi. La corona a sette punte che spicca su di una delle etichette più semplici ed eleganti del mondo forse vuole simboleggiare proprio tutto questo, l’essere così straordinariamente superiori eppure così legati alla realtà, al piacere, alla vera sostanza delle cose. Grazie Yquem, rara certezza in un mondo di infinite incertezze.
Y, l’altro volto di Château d’Yquem
Quella di produrre un vino secco in terra di Sauternes non è un’unicità dello Château d’Yquem, né tantomeno lo è l’utilizzo dell’iniziale del nome. Oltre ad Y, infatti, esistono altri esempi come R di Château Rieussec e G di Château Guiraud. Resta però il fatto che si tratta sempre di vini quasi sconosciuti, anche se molto interessanti. Y viene prodotto solo in annate particolari, quelle in cui vi sono molti grappoli di Sémillon giunti a piena maturazione senza l’attacco della botrytis ed allo stesso tempo buone quantità di Sauvignon raccolte ad inizio vendemmia è gia perfettamente mature; i due vitigni, a differenza di Yquem, sono sempre in quantità paritarie. Dal 1959, primo anno di produzione, ne sono state imbottigliate solo 23 annate, tutte in tirature sempre fortemente limitate. La vinificazione segue tutti i passaggi classici di un bianco di qualità e la maturazione avviene in barrique nuove solo per un terzo, per una durata mai inferiore ai dodici mesi. Y ha sempre carattere, stile ed una sorprendente longevità, anche di alcuni decenni.
Bordeaux Y 1985 – Château d’Yquem
Il 1985 è stata un’annata stranissima per Yquem, quella più tardiva della sua storia, con quasi tuta la raccolta fatta poco prima di Natale. I mesi di settembre ed ottobre furono secchissimi, con nessun segno di botrytis; novembre ebbe delle temperature troppo basse per farla sviluppare, permettendo nel contempo di raccogliere molti grappoli perfettamente maturi, quindi da vinificare per Y. Infine, a dicembre, le temperature si alzarono ed arrivò la muffa nobile, ma non su tutta la produzione, visto che alcuni chicchi residui finirono per rinfoltire ulteriormente Y. Ed oggi, dopo oltre vent’anni, Y 1985 è ancora integro, potente, austero nel suo brillante colore dorato. Al naso regala il meglio di sé, con profondi toni minerali, una lunga scia di spezie ed un tocco iodato che dimostra comunque la presenza di pourriture noble; una grande complessità olfattiva si completa poi con la decisa evoluzione verso note di idrocarburi. In bocca è ancora perfettamente fresco, speziato, con una fine sapidità ed una sottile scia vanigliata a dominare un finale meno lungo di quelli classici alla Yquem. Un vino dai mille abbinamenti, per piatti dalla bella complessità aromatica, come delle capesante lardellate al pepe bianco. (Novembre 2007)
Verticale Château d’Yquem
Una verticale di alcune tra le migliori annate di ogni decennio, a partire dall’immenso 1990, fino al 1945, uno dei miti di Francia.
La degustazione è avvenuta a tavola, in una brumosa serata invernale all’Antica Osteria del Teatro di Piacenza, con piatti ideati dallo chef Filippo Chiappini Dattilo e vini provenienti dalla collezione di Mario Panciroli, grande broker di vini rari.
1990
Grandissima annata, per un Yquem tra i più equilibrati e potenti che si ricordino, oggi di una gioventù quasi imbarazzante, eppure già straordinariamente godibile. Il clima estivo caldo e secco faceva temere per l’arrivo massiccio della botrytis, ma poi alcune brevi piogge alternate a venti orientali hanno portato alla più elevata quantità dal 1893, per una vendemmia breve, durata solo dal 17 settembre al 10 ottobre, con appena quattro passaggi in vigna. E che sia andato davvero tutto bene lo conferma appieno il vino che nel bicchiere scende compatto, sinuoso, con una veste oro brillante dai primi riflessi ambrati. Il naso è impeccabile ed avvolge in un soffice abbraccio dal quale è difficile venire fuori. Crema, vaniglia, note di dattero maturo, ma subito anche zafferano, lampi iodati, polvere di caffè ed arancia candita. Raccontare e catalogare i profumi di un grande Yquem è sempre impresa improba, perché si rincorrono e cambiano vorticosamente, mostrando sempre nuove facce man mano che passano i minuti e le ore. Ad esempio, alla distanza esce fuori un’albicocca prorompente, unita a freschissimi fiori bianchi e foglia di tabacco. Al palato, poi, si decolla, con equilibrio, potenza e lunghezza infinita. Al tocco sapido risponde un’impeccabile freschezza, con una dolcezza sempre perfettamente integrata alla struttura portante del vino. Un’emozione che sarebbe bello poter seguire di decennio in decennio, per il prossimo secolo. Al pari dei grandi Yquem di annate molto vecchie, è splendido servito attorno ai 16°C; da ricordare il matrimonio a tavola con noci di capesante bretoni con indivia brasata alla vaniglia Bourbon. (Novembre 2007)
1983
Splendida annata, con una grande quantità di uva botritizzata, ottenuta grazie ad un periodo vendemmiale dall’andamento perfetto, che si è dipanato dal 29 settembre al 18 novembre, con la massima quantità raccolta subito al primo passaggio, segno di condizioni davvero ideali; anche dal punto di vista quantitativo si è trattato di un’annata di gran livello, con l’80% della raccolta finita in bottiglia. Alla vista regala un pieno colore ambrato abbastanza carico, ma dai riflessi molto vivi. Ai profumi è elegantissimo e mostra subito quella profonda freschezza di fondo che lo caratterizzerà fino alla fine. Menta, fiori di campo, anice, ventate di pepe e di miele d’arancio danno il benvenuto, seguite dal poderoso ritorno dell’albicocca, del dattero e della cannella. Al palato è leggermente meno profondo dell’immenso 1990, mostrando un forte tocco sapido, ben integrato in una lunga e vellutata vena alcolica. C’è tutta la classica persistenza di Yquem, con sfumature caramellate, spunti di cioccolato all’arancia ed una dolcezza che sembra quasi essere rientrata, cominciando a far capire perché definirlo solo come vino dolce tende ad essere fortemente limitativo. Quest’annata sembra aver già raggiunto il suo equilibrio ottimale, ma tante volte Yquem fa delle sorprese e cambia velocità. Dunque, resta aperta la domanda sulla sua evoluzione futura. Per adesso è stato splendido goderselo su di un filetto di rombo chiodato ai tartufi neri dei Colli Piacentini. (Novembre 2007)
1975
Annata straordinaria, caratterizzata da una delle più grandi concentrazioni zuccherine del secolo, ai livelli del mitico 1945. Non a caso la quantità di uva attaccata dalla pourriture noble è stata elevatissima, superiore all’80% dell’intera produzione possibile. Il periodo vendemmiale è stato regolare ed è andato dal 29 settembre al 17 novembre. Per molti è un Yquem anomalo, ancora così potente, giovane, quasi chiuso. Si presenta con un vivissimo color rame antico e con una straordinaria densità nel bicchiere. Al naso è dapprima delicato, leggero, con sottili note mentolate, per poi incalzare con un crescendo impressionante che ci attacca alla sedia. Zafferano, fortissimi spunti minerali, fichi, gelatina di susine e pepe bianco sono veicolati da una poderosa nota eterea; poi un’apertura verso sensazioni più complesse, quasi umide, di sottobosco, con continui e sorprendenti slanci di pot-pourri e tabacco trinciato. Bocca potente, calda, con una vena dolce ancora decisa e di nuovo una sorprendente mineralità di fondo. La sapidità, come sempre, non manca ed accompagna il solito, infinito finale dalle mille sfumature e dai mille richiami. Longevità ancora straordinaria, forse ai massimi livelli per Yquem. Oggi ideale compagno di un’aragosta rosa al sesamo con avocado e arancia. (Novembre 2007)
1967
Un altro incredibile Yquem dal potenziale ultracentenario, che simbolicamente segna il passaggio di testimone da Bertrand de Lur Saluces a suo nipote Alexandre. Annata perfetta, memorabile per il domaine, con quasi tutta la produzione perfettamente attaccata dalla muffa nobile ed una vendemmia abbastanza breve e tardiva, dal 26 settembre al 25 ottobre, per una grande concentrazione, con alcol potenziale superiore ai 22 gradi. Colore da grande Cognac, che raccoglie la luce e la restituisce amplificandola a mille, con dei riflessi ambra e rame che gli conferiscono un aspetto regale, che incute rispetto. Ai profumi è subito esplosivo, con decise note di tè verde unite a zabaione, scorza di agrumi, menta e spunti iodati; poi una progressiva salita di livello, con ricordi di biscotti al burro, bourbon whiskey e tabacco conciato per pipa. Al gusto è elegante come pochi, ma anche potente, incalzante, sempre diverso ad ogni assaggio. La componente zuccherina è perfettamente integrata e la freschezza è sempre ai massimi livelli, con un’alternanza continua nei ritorni delle sensazioni olfattive. È lungo come non mai, cominciando a rappresentare dove può arrivare un grandissimo Yquem, per molti simile per caratteristiche e potenziale al mitico 1929. E siamo solo agli inizi, la strada è davvero ancora tanto, tanto lunga. Mirabile l’abbinamento con una composizione di fegato grasso d’anatra e oca in chauf-froid. (Novembre 2007)
1959
Forse la sorpresa maggiore della verticale, ai massimi livelli di Yquem. Frutto di un’annata eccezionale, con un periodo vendemmiale molto caldo interrotto da brevi e frequenti pioggerelline, l’ideale per lo sviluppo della muffa nobile. La vendemmia è stata molto breve, dal 19 settembre alla prima decade di ottobre, con molte similitudini con il 1990, quasi a tracciare la strada che percorrerà anche il giovane campione. Colore bellissimo, molto più marcato della media, quasi un succo di fragola, con brillanti riflessi ramati ed una trasparenza ancora straordinaria. Al naso subito tanta frutta ed una freschezza quasi infantile, seguita da un mirabile mix di note calde e fresche, con spunti di foglia di tè nero, vaniglia, zafferano, miele, caffè, nocciola e mandorla, quasi a ricordare un grande Armagnac. Palato impressionante per continuità e compattezza, caldo e morbido, ma anche sapido, con lo zucchero perfettamente fuso con tutte le altre componenti a creare una sinfonia che non finisce mai. La lunghezza si misura in minuti e l’evoluzione nel bicchiere riporta a note sempre più fresche, quasi come se il tempo si muovesse all’indietro. Un Yquem che è entrato nella plenitude, dalla quale non sappiamo quando potrà uscirne, di sicuro non fra poco tempo. Dimostra tutta la sua straordinaria capacità di abbinarsi al cibo servito con uno splendido maialino croccante glassato alle spezie. (Novembre 2007)
1945
Strepitoso, vero archetipo della grandezza di Yquem. Deriva da una delle più grandi vendemmie del secolo, considerata uno dei simboli della rinascita francese dopo il dramma della guerra e dell’occupazione, iniziata molto presto, a partire dal 10 settembre, e proseguita ininterrottamente per sei settimane. Ne è risultato un Yquem con l’estratto secco più importante della storia, un potenziale alcolico di 24° e ben 215 gr/l di zuccheri residui. Alla vista racconta già tanto, con un colore che ricorda il cuoio e con una bellissima unghia color zafferano. Il vino dell’eleganza, della pienezza, forse uno dei migliori approcci alla perfezione. Una sinfonia che raccoglie note di menta, liquirizia, confettura di pesca, spunti agrumati, incenso e carruba. Ma è solo l’inizio, perché il vino con l’ossigenazione si diverte a disegnare mille profili diversi, passando attraverso note di tartufo bianco, cioccolato amaro, nocciola, ambra e scatola di sigari. In bocca è largo, autorevole, perfettamente intatto, con ancora tanta freschezza e la dolcezza ormai indistinguibile nell’insieme delle tante sensazioni che si rincorrono, con una mineralità ancora in perfetta forma e ritorni che ricordano un wafer al cioccolato o la chiusura di un grande Calvados. Inutile provare a scommettere sulla sua ulteriore longevità; con gli Yquem più grandi si rischia sempre di prevederla per difetto. Nel frattempo, mostra un meraviglioso abbinamento con il petto di piccione novello étouffé Café de Paris. Emozione da raccontare ai nipoti. (Novembre 2007)
CREDITI : INTRAVINO – BIBENDA.IT – AIS ROMA
 

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