JOE BASTIANICH a Milano

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Soldi, sesso e il
suo libro Restaurant Man: incontro molto ravvicinato con Joe Bastianich
 di Sara Porro – Dissapore



Joe Bastianich è a Milano per 48
ore, impegnato in un giro di interviste con la stampa a proposito della seconda stagione di MasterChef. Ieri
sera è stato ospite, insieme a Bruno Barbieri e a Carlo Cracco delle Invasioni
Barbariche. Visto che anche Daria
Bignardi ha twittato
il suo amore per il libro Restaurant Man, ho chiesto a Joe se avesse tempo di incontrarmi per
parlarne.
– “Non c’è
problema. Alle 12:30 ho un pranzo di lavoro, raggiungimi lì. Poi alle 14:30 ho
un’intervista con Runner’s World. Mi intervistano e poi mi fotografano mentre
corro al Parco Sempione.”

“Non ho capito quando ti intervisto.”
– “In macchina
andando da un posto all’altro.”
Restaurant
Man è la biografia del Joe Bastianich ristoratore, dall’infanzia a oggi: non
menziona nemmeno MasterChef, parla quasi solo di New York e della scena dei
ristoranti della città, oltre a contenere un buon numero di aneddoti salaci:
Sex & The City & The Restaurants, insomma.
A
pranzo lui parla di vino con i clienti, io taccio, bevo vino e mangio spaghetti
all’aragosta. Saliamo in auto: gli leggo dei brani del libro, e gli chiedo di
commentarli.
Sugli
amici al ristorante, piaga del settore.
Chi apre un ristorante
facendo affidamento sugli amici è fottuto in partenza. (…) Gli amici
spadroneggiano. Ti distraggono proprio quando dovresti curarti dei clienti che
contano davvero, e si aspettano che tu offra loro qualcosa. Gli amici ti
rovinano la serata e i margini di guadagno.

S. Capisco la logica, ma come ti gestisci tu? Sei uno degli uomini con più
“amici” di tutta New York. Come fai a non farti rovinare i margini?
– J. Quando gli
amici vengono in uno dei miei ristoranti, io vado in un altro. Li raggiungo per
salutarli quando hanno già pagato il conto.

S. Molto astuto.
– J. Ma,
ovviamente, se fossimo davvero amici allora probabilmente verresti a cena con
me, io mi siederei a tavola con te, e 
semplicemente non ti presenterei il conto.

S. Fammi un esempio: se io venissi al tuo ristorante, pagherei?
– J. Beh, saresti
con me, no?

S. Ma se ci venissi da sola?
– J. Non ci vuoi
venire con me?
Sull’oscuro
fascino delle guardarobiere.
Il Restaurant Man
deve essere nel locale fin dal mattino. È una bella scocciatura: la sera prima
hai chiuso tardi, hai bevuto troppo e hai cercato di farti la guardarobiera.

S. Cos’è questa faccenda della guardarobiera?
– J. La
guardarobiera è come la favorita del re: conosce tutto ciò che succede
nel ristorante, è un po’ il consigliere
segreto.
Sull’essere
un immigrato italiano di seconda generazione.
(Da bambino) la mia
famiglia mi metteva in imbarazzo. Mia nonna abitava con noi, girava per il
giardino in reggiseno innaffiando le piante, gridandomi dietro in italiano.
Stavo cercando di escogitare un modo per uscire da questa situazione, per
eliminare le mie origini, per non essere italiano, per non fare un lavoro da
manovale. Per non essere un Restaurant Man.
– J. All’epoca io
cercavo di diventare più americano possibile. Non volevo parlare italiano con
la nonna, non volevo mangiare prosciutto ma solo hot dog. Da bambino tutto
quello che si differenzia dal normale non va bene – volevo solo essere
americano quanto gli altri.
Sul
momento V.M. 18 in cui ha capito di voler diventare un ristoratore di New York.
Fu mentre scopavo
con quella ragazza ebrea, tra l’altro molto perbene, che ebbi davvero la mia
epifania (…). In quel momento pensai: che cazzo, nel mondo della finanza non
sono proprio nessuno, ma tutti i grandi della terra vorrebbero far parte del
mondo dei ristoranti e del vino di New York, anche se non ci capiscono niente,
a parte cercare di corrompere il maitre del Franklin per ottenere un tavolo. Io
invece sono già inserito e ho una competenza da sfruttare.

S. Mi chiedo se questa sia la parte che è piaciuta di più a Daria Bignardi!
(comprensibilmente,
Joe mi guarda senza capire. Seguono alcuni minuti in cui gli racconto prima chi
è Daria Bignardi, poi del Grande Fratello, poi di Luca Sofri, poi di Adriano
Sofri, poi delle Brigate Rosse, poi di Piazza Fontana. Lui ascolta
educatamente. Concludo dicendo: “Questo era per contestualizzarti che Daria
Bignardi è un’intellettuale”)
– J. Quello fu il
momento storico del cambiamento dal ristoratore blue-collar, operaio, come mio
padre, al ristoratore star. Credo di averlo compreso in quella circostanza.
Sul
doppio standard delle ragazze italiane, prima e dopo il matrimonio.
[Raccontando del
periodo trascorso in Italia nei primi anni ’80] Con le ragazze non c’era verso.
Le italiane erano come la Vergine Maria (…). La seconda volta non hanno
problemi a darla via, e per seconda volta intendo, per esempio, dopo essersi
sposate. In questo somigliano alle ragazze del Queens.
– J. (Ride mentre
gli leggo il paragrafo) Era difficilissimo.

S. È per questo che hai chiamato il tuo primo ristorante “Becco”? (L’autista
ride).
Nel
frattempo, arriviamo all’intervista con Runner’s World. Per mezz’ora, Joe
dettaglia il suo programma di allenamento e snocciola l’elenco delle maratone
cui ha preso parte. Poi si mette i pantaloncini e viene fotografato al parco.
Riprendiamo
l’auto.
Sul
trattamento che il Restaurant Man riserva ai critici, e sulla differenza che
fa.
Quando Bryan
(Miller, critico del New York Times, n.d.R) entrò, gli riservammo un
trattamento con i fiocchi. Ricordo che lo riconobbi e che facemmo l’impossibile
per ottenere il suo favore, compreso cucinare ogni piatto due volte per
assicurarci che fosse ineccepibile, aumentare le porzioni ed esagerare un po’
con tutto. Mi occupai personalmente del servizio e verificai che il conto fosse
basso. Feci del mio meglio per offrirgli una serata fantastica.
– J. Penso che
tutti capiscano che i critici vengono trattati diversamente da tutti gli altri
avventori. Un ristorante mediocre non può diventare buono, ma una differenza
del 10% c’è di sicuro.
Sulla
lunghezza del menu.
Il menu di Babbo è
di solo quattro pagine, ma è travolgente: ci sono venti diversi tipi di pasta ,
un sacco di roba. Non c’è niente che detesto di più di un inutile, pigro menu
con appena tre antipasti e quattro piatti. Non è neanche un menu, è una
stronzata. Sei un ristorante, cazzo, cucina qualcosa. Credo che un ristorante
versatile e dinamico debba saper offrire alla gente una scelta.

S. Questo è l’esatto contrario della filosofia del bistrot: il menu piccolo – a
volte addirittura il menu unico – consente di tenere i prezzi più bassi.
– J. Credo che un
menu ampio significhi rispettare il fatto che le persone vanno al ristorante
per molti motivi diversi. Non ci vanno tutte per adorare lo chef.
Sull’offrire
la cena a critici e VIP.
(All’apertura di
Babbo) tutti si aspettavano che invitassimo critici della vecchia guardia che
avrebbero mangiato a ufo, ma Mario (Batali, socio di Joe) non voleva saperne.
Era irremovibile e ostinato in proposito. Io ero della vecchia scuola, quella
dei miei genitori. Il ristoratore era ancora una specie di cittadino di seconda
categoria e i clienti erano l’aristocrazia, sopra i quali c’era solo una
categoria: i critici. (…) [Mario] mi aprì gli occhi. Mi convertii, (…) se ti
svendi, ti deprezzi agli occhi della persona che dovrebbe valutarti. (…) Adesso
la penso come Mario: pagano tutti.
– J. Pagano tutti.
Io la penso così: uno che non paga non può criticare e, fondamentalmente,
neanche apprezzare. Non si capisce davvero un ristorante senza avere il
parametro dei soldi.
Sulla
maledizione del Restaurant Man.
Una delle grandi
tragedie di essere un Restaurant Man è che faccio fatica a divertirmi in un
ristorante. Sono troppo coinvolto, sto sulle spine. Non riesco a lasciarmi
andare. Immaginate di essere uno scienziato e, ogni volta che vi scopate vostra
moglie, tutto quello cui riuscite a pensare è alla natura biologica dell’atto.
Sarebbe una tragedia.

S. Facciamo un gioco. Analizzami il ristorante dove siamo stati poco fa a
pranzo.
– J. Il costo della
materia prima che impiegano è molto alto, così come la qualità. Ma il crudo di
pesce in Italia è sempre un po’ banale: non usano olio, sale, ha sempre tutto
lo stesso sapore.

S. Il piatto che ho preso io…
– J. I tuoi
spaghetti con l’aragosta costavano 35€. Una somma adeguata, il prodotto è
costoso. Io ho preso le tagliatelle con i frutti di mare, ma non è stata una
buona idea: l’abbinamento tra pesce e pasta fresca finisce sempre per
deludermi. Il tuo sembrava molto meglio. Dei 300€ di conto spesi in 5, il costo
della materia prima sarà stato circa il 40%.
Su
come cambia l’atteggiamento delle persone, al variare del peso.
Bisognerebbe
scrivere un libro intero su come la gente adesso mi guarda e mi tratta
diversamente, rispetto a quando pesavo venticinque chili in più. Il mondo è
cambiato.
– J. Quando smisi
di fumare, nel ’98, presi 20 chili. Mi ci sono venuti 10 anni per perderli. La
differenza è stata enorme: quando ero più grasso non facevo tre programmi
televisivi. Le persone più attraenti vivono in modo differente.
Eataly
New York/1. Su Oscar Farinetti, l’uomo che ha reso l’Italia un paese moderno, o
giù di lì.
Avevo conosciuto
Oscar Farinetti, un uomo d’affari italiano di gran fiuto (…) che ebbe un grande
successo creando il gruppo UniEuro, una realtà della vendita al dettaglio che
prima di lui in Italia non esisteva. Bisogna ricordare che quando si parla di
qualsiasi tipo di comodità moderne, l’Italia è sempre stata un po’ arretrata.
La gente ha cominciato ad acquistare le prime lavatrici negli anni ’70.

S. Da dove comincio…
– J. È una cazzata?
– S. Eh.
Eataly New York/2. Sull’aver creato la
quarta attrazione più visitata di tutta New York.
C’è molta gente che
non è contenta di Eataly. Alcuni della vecchia guardia si sono espressi
pubblicamente dichiarando che l’ambizione di Eataly non è autentica o che in un
certo senso non è stata realizzata come si deve (…) Credo fermamente che
influenzare il mercato come facciamo noi abbia un impatto positivo sul nostro
settore in generale. Ma so anche che quando arrivi a qualcosa delle dimensioni
e della scala di Eataly, qualcosa che succhia così tanti soldi dall’economia,
qualcuno si incazzerà per forza.
– J. L’anno scorso
Eataly ha fatto 80 milioni di $. Se entrassi da Eataly e non l’avessi fatto io,
dovrei uscire di corsa, vomitare sul marciapiede e spararmi in testa.
[Crediti
| Dissapore – Link: Twitter]

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