Lambrusco il più venduto al mondo

Commenti (0) Ristoranti

La rivincita del
Lambrusco
Piccolo viaggio nel mondo di un vino
che ha scalato le classifiche delle guide
di Helmut Failoni
BOLOGNA
– Vanta sicuramente un primato. È il
vino italiano più venduto al mondo
. Gli americani scherzando lo chiamano la
«coca cola italiana». I tedeschi incespicano sulle erre moscia pronunciando il
suo nome: Lambrusco. Potremmo dire che il Chianti sta alla Toscana come il Lambrusco
sta all’Emilia (evitiamo volutamente per ora la diatriba modenese fra Sorbara e Grasparossa) e aggiungere che
entrambi hanno forgiato l’immaginario enologico italiano nel mondo. Il
Lambrusco, quel buon vecchio futurista di Marinetti lo chiamava «carburante nazionale» e lo serviva a
tavola in grosse taniche, nel corso dei suoi rivoluzionari aereopranzi a base
di Pollofiat, cui prendeva parte l’avanguardia intellettuale dell’epoca.
LA
SCALATA – Per anni poi relegato negli
angoli dell’intelligenza enologica
e liquidato come vinellino qualunque,
ora il Lambrusco, negli ultimi periodi, sta ottenendo sempre più riconoscimenti
dal pubblico e dalla critica, che addirittura, in alcuni casi lo mette in cima
alle proprie classifiche. È il caso di Luca Maroni, degustatore controcorrente,
curioso e abilissimo oratore, penna originale e appassionata, che basa i propri
giudizi su tre parametri: consistenza,
equilibrio, integrità
.
LE
BOTTIGLIE – Al Lambrusco Marcello Gran
Cru
dell’azienda Ariola di Langhirano dà addirittura un voto da 99/100, scrivendo (siamo a pagina 144
del suo Annuario dei Migliori Vini d’Italia 2013): «Il miglior Lambrusco di
sempre, il miglior vino rosso spumante ad oggi mai incontrato. Nitidissimo e
ultrapolposo al profumo si rivela grandissimo vino briosamente spumante il cui
profumo è di delicatissima mora, ciliegia nera e lampone. Questo nitido ed
algido profumo carezza le nari, mai affondando amaro o stringendo acido, con
gran pulizia esprime se stesso leggiadro….». Altra predilezione per un
Lambrusco fuori zona classica, a Collecchio (Pr), quella di Maroni per il
Nabucco 2010 di Monte delle Vigne, che ottiene un voto da 93/100. Descrizione:
«La sua vivida, possente, imperiosa sostanza s’annuncia sin dal naso
massimamente concentrata, solida, cremosamente, archettante la parete verticale
del cristallo con la sua viscosità impressionante».
I
VIGNETI MODENESI – Dai vigneti modenesi proviene invece Lambrusco Grasparossa di
Castelvetro
Frizzante Amabile 2011, che si attesta su 91/100, dove «il profumo
detta integrità, la registra da subito, la sente nella dolcezza polposa, nella
suadenza spumosa, eppure ancora turgida, della sua mora, della sua amarena e
della sua visciola». Guida diversa, giudizi diversi. Apriamo quella de
L’Espresso. Che suddivide i Lambruschi per tipologia. Fra quelli di Modena, i
curatori Gentili e Rizzari, scelgono Il
Maglio di Barbolini (17/20), il Rosé Moetodo Classico 2010 Cantina della Volta
(18/20)
. Andando a guardare fra i Lambruschi di Sorbara. E qui, anche se
avevamo detto di lasciare perdere le querelle, sappiate che gli ultras del
Lambrusco prediligono (quasi) unicamente quello di Sorbara, più tradizionale,
minerale e meno colorato degli altri. L’Espresso
sceglie Frizzante Secco Villa di Corlo (18/20), Radice 2011 di Paltrinieri
(17.5/20).
I
SAPORI – A chi ama i sapori forti, consigliamo anche di assaggiare il Vezzelli,
Lambrusco brutale preferito dai facchini di Modena. Per il Grasparossa di Castelvetro invece: Semisecco Frizzante, il Grasparossa
della Tenuta Pederzana (17.5/20), la Battagliola 2011 (17/20
). Infine per
il Reggiano viene citato il Secco di Venturini e Baldini (16/20). Sostengono in
molti che la musica di Giuseppe Verdi sia colma di Lambrusco fino all’orlo.
Forse la musica, ma non certo il palato del compositore, che era decisamente
orientato verso la Francia, come si può facilmente evincere da diverse due
lettere di ordini di Bordeaux e di Champagne (c’è n’è una nello specifico,
riferita alla messa in scena de La Forza del Destino a Pietroburgo nel 1861 per
la quale Verdi fa un lungo ordine di
suddetti vini
). Altri, il Lambrusco, ancora lo assimilano al carattere
degli emiliani, definendolo uno strano impasto di cordialità, generosità, ma
anche di schiettezza e di franchezza. E il grande Curzio Malaparte (è lui quello della musica di Verdi colma di Lambrusco…) scrisse: «In tutta la
Chartreuse de Parme di Stendhal scorre una vermiglia, frizzante vena di
Lambrusco. Si potrebbe forse immaginare un Fabrizio del Dongo, una Sanseverina,
una Clelia Conti altrimenti che imprigionati dentro una bottiglia di Lambrusco,
come un manoscritto abbandonato al mare?».
Helmut
Failoni
Link
: Corriere della Sera – Bologna

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *