LA TORTA degli EBREI di Finale : per RIPARTIRE

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Una ricetta per ricominciare
di
Luca Bonacini
Castelfranco è patria del Tortellino;
Spilamberto e Cognento sono culla dell’Amaretto; il Frignano ha le sue Crescentine;
Zocca e Guiglia il Borlengo, mentre Finale Emilia contribuisce da sempre alla
ricca gastronomia modenese con la Torta degli Ebrei. Alcune ricette della
nostra cucina rappresentano il paese dove sono nate come una bandiera, hanno
attraversato secoli prima di arrivare a noi, modificandosi lievemente in
funzione di una naturale evoluzione del gusto e ora come ieri sono ancora sulle
nostre tavole. La Torta degli Ebrei è piatto sostanzioso di antica memoria, un’appetitosa
sfogliata ottenuta con burro, farina, strutto e Parmigiano reggiano, che nell’originale
versione con il grasso d’oca, ma senza strutto e burro, era appannaggio della tradizione
ebraica. Mi conferma Giuseppe Pederiali scrittore internazionale, e finalese
doc, che gli israeliti fuggiti dalla Spagna e dalle persecuzioni dei musulmani,
giunsero a Finale nel 1598 al seguito degli Estensi in fuga da Ferrara,
fondando una numerosa e vivace comunità. Con loro giunse anche questa ricetta, nutriente
e gustosa, da consumarsi senza piatto e forchetta,
 che ci riporta alla cucina di un tempo lontano,
apparentemente di semplice preparazione, e con pochi fronzoli, ma che nasconde un
segreto tramandato solo alle Rezdore con la erre maiuscola. Lo storico della
Bassa modenese Piero Gigli ci rivela che nel 1861 fu Mandolino Rimini di Aronne
convertitosi  al Cristianesimo e divenuto
Giuseppe Alfonso Alinovi, a portare quella gustosa ricetta al di fuori del
ghetto ebraico aggiungendo lo strutto all’originale ricetta, e segnando cosi la
completa rottura con la Comunità israelitica finalese. La Torta, in dialetto “sfuiada” o “tibuia” viene preparata nelle grandi padelle e consumata in
autunno
, in particolare nella ricorrenza dei defunti, venduta agli angoli delle
vie o sotto i portici, servita ben calda nell’ inconfondibile carta gialla, accompagnata
ad un bicchiere di Anicione, assecondando chi la preferisce gustata a piccoli
morsi o chi invece sfogliando lentamente i tanti sottili strati della “torta”, ricchi di parmigiano. E’
difficile non pensare a ciò che stanno passando gli abitanti di Finale e dei
territori circostanti duramente provati dal sisma, una cittadina chiamata per
secoli la “Venezia degli Estensi” per
la bellezza del suo centro storico e per i canali navigabili che la
attraversavano, difficile non pensare a quanto lavoro era stato fatto dai
ristoratori della zona, da Antonio della trattoria Entrà, da Giovanna della
trattoria La Fefa,  luoghi di elezione e
giacimento delle tradizioni culinarie finalesi più antiche, chissà se parlare
di tradizione non ci aiuti a guardare avanti, per ricominciare.
Pubblicato sul Resto del Carlino 2012

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