La cuoca del presidente

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Gnam, si gira
di Alessandra Mammì

Esce
“La cuoca del presidente”, 
film sulla storia della chef di
Mitterrand.
Dove
i piatti raccontano un Paese
È
stato messo in forno sul set della “Cuoca del presidente” il mitico
“Orellier de la Belle Aurore”. Monumento della cucina francese che
richiede giorni di preparazione, il recupero di una decina di diverse carni
rare e pregiate
, almeno cinque volatili, decine di spezie, fegati e fegatelli,
tartufi, pistacchi, funghi e midolli tritati, macerati, mescolati con champagne
e vino di Madeira. Il tutto in crosta e in un trionfo di pasta sfoglia che
lievita come un pouf. Finita la ripresa, la troupe si è democraticamente divisa
quel simbolo di cultura e identità comune ormai impossibile da trovare nei
ristoranti contagiati da nouvelle cuisine e ossessioni salutiste.
Vive
la France e i suoi piatti lussuriosi e decadenti. Viva i poetici nomi con cui
battezza le pietanze. Il Cuscino di Aurora: la bella e realmente esistita mamma
di Brillat-Savarin, avvocato e gourmet d’epoca rivoluzionaria.
O
“Le poulard en demi-deuil” ovvero il pollo a mezzo lutto, immerso in
salsa bianca ma scurito dai tartufi. Viva: la “cagliata aromatizzata con
infuso di alloro sgrondata su steli di giunco intrecciati” che nel menù
del presidente passa come semplice Giuncata di Roquefort. Viva il potere della
parola e della letteratura che si intreccia in tutto il film con i profumi
della cucina e i colori densi e cremosi delle salse d’Oltralpe.
«Mi
dia il meglio della Francia», dice il presidente un tantino retorico alla sua
cuoca nel clou di questo delizioso e calorico film (in Italia dal 3 marzo). Che
è appunto la storia, assolutamente vera, di François Mitterrand e di una
signora del Périgord
(vero nome è Danièle Delpeuch) proprietaria di un bed&breakfast
e amante della tradizione. Fu lei la prescelta da un presidente già malato che
chiede al cerimoniale dell’Eliseo una cucina più semplice, più simile ai suoi
ricordi d’infanzia.
Proust
forever. Ma anche Edouard Nignon e il suo “Éloge de la cuisine
française”. Libro magnifico, per lo sceneggiatore Etienne Comar: «Scritto
da uno dei più grandi chef della storia, che ai primi del Novecento lavorò in
tutte le corti europee dallo zar Nicola II all’imperatore d’Austria. Opera
letteraria e poetica dove l’amore della cucina incontra la storia». Come in
questo film, dove il potere della cucina si scontra con la cucina del potere.
Perché la cuoca, verace e volitiva come si addice al ruolo, non si adatta alle
leggi del Palazzo, al protocollo, alle gerarchie, alle assurde regole («È
vietato attraversare il cortile dell’Eliseo, bisogna sempre costeggiare i
lati», le vien detto neanche arrivata).
Sequestrati
in una gabbia d’oro, Lei con tutti i profumi della terra di Francia e Lui, il
presidente che detesta l’international style, si trovano a parlare di cucina e
poesia, di tartufi e formaggi, di nazione e storia, come vecchi amici un po’
nostalgici e un po’ reazionari. Perché, come spiega il regista del film
Christian Vincent, «François Mitterrand veniva da una famiglia di provincia
alquanto reazionaria. Borghesi per i quali la tradizione è tutto».
Non
a caso a interpretare Monsieur le Président è qui Jean d’Ormesson,
intellettuale di destra e opinionista di “Le Figaro”, ai tempi grande
amico-nemico del presidente socialista. Mentre la cuoca dello schermo (la brava
attrice Catherine Frot) pur avendo le physique du rôle, autorevole, morbido e
generoso della massaia, non sapeva cucinare neanche un uovo al tegamino.
Dunque, come racconta il regista, «per tagliare una cipolla, disossare un pollo
o farcire un cavolo abbiamo assunto controfigure. Cucinare richiede gesti
precisi come suonare un pianoforte e gli spettatori gourmet non perdonano. Son
peggio dei melomani!»
Sorride
Vincent, il regista gourmet e anche cuoco, che si è fatto prestare i servizi di
porcellana da Sèvres, ha controllato pentola per pentola l’armamentario della
cucina del presidente, ha voluto nel cast la consulenza del grande chef Gérard
Besson, di Guy Leguay del Ritz e di Elisabeth Scotto esperta di cucina per
“Elle”. Un team di probiviri affinché il “Cuscino della Bella
Aurora”, “Il fegato d’anatra in gelatina al Coteaux du Layon” o
la “Cassolette di lumachine alla Nantaise”
obbedissero nella forma e
nei sapori alle eterne leggi della gastronomia francese. «Dovevamo essere
rigorosi perché questo non è un film sul cibo, ma sull’identità e la cultura di
un Paese. La cucina è un ancoraggio a terra in un mondo troppo veloce, globale,
virtuale. Mangiare le stesse cose dei nostri nonni e bisnonni è ritrovare le
radici, riannodare i fili della storia. Mitterrand insegna».
(21
febbraio 2013)
Link :
Espresso Food&Wine

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