La Tavola di Natale dei famosi, dalle Alpi al Tacco

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DA NORD A SUD la tavola del Natale
Antiche usanze culinarie italiane, riti
& miti, della tavola più attesa dell’anno.
di Luca Bonacini


Se neppure l’Unità d’Italia è riuscita in
150 anni, a omologare tante ricette, e tante diverse tradizioni, per celebrare
un’unica ricorrenza, vuol proprio dire che le mille usanze, i costumi, e i rituali,
della Vigilia e del pranzo di Natale di ogni città d’Italia nella loro
diversità, sono unici, inimitabili e assolutamente da preservare. Mentre a
Parma certe rezdore per dare un tono
di allegria al pranzo di Natale, mettono in mezzo ai tanti anolini col ripieno, uno di sola pasta, e chi lo trova sarà per
l’intera giornata, l’anolen matt, a
Lecce l’inviato Rai, Antonio Caprarica,
ricorda quell’inconfondibile profumo di scorza di mandarino bruciato e le
pittule che si mangiavano la Vigilia, guarnite con olive o tonno, a cui seguiva
un tradizionale baccalà in umido, e il pranzo di Natale con lasagne al forno, e
i caratteristici purcedduzzi , una sorta di gnocchetti di pasta frolla fritti,
profumati con agrumi, e caramellati, a cui tutta la famiglia contribuiva alla
preparazione”. Per la scrittrice milanese Sveva
Casati Modignani
, la Vigilia era a base di spaghetti al tonno, e per Gesù
Bambino e l’asinello, un piattino di latte con biscotti, lasciato fuori dalla
porta. La mattina colazione con cioccolata calda e savoiardi, “e prima di pranzo si aprivano finalmente i
pacchetti, poi ravioli, gallina farcita con un impasto di uvetta, pinoli,
amaretti, e il  panettone Vergani,
bagnato nel Moscato d’Asti, a cui seguiva una grande tombolata”.
La giovane
giornalista e scrittrice trentina Francesca
Negri
ci ricorda che fin dall’800, l’appuntamento dei più piccoli era S.
Lucia, “le donne scendevano in città
portando al collo lunghe collane di marroni, mentre sacchi di castagne erano
allineati davanti al municipio, si acquistavano il mandorlato e i sughini,
dolcetti tipici natalizi. La sera del 12 dicembre i bambini mettevano sul
davanzale un piatto con un pugno di farina di mais ed uno di sale, che sarebbe
servito per far rifocillare l’asinello su cui viaggia la santa. L’indomani,
avrebbero trovato calzettoni, carrube, un quaderno e una matita, nespole, noci
e castagne”



Ernesto Caffo Presidente
di Telefono Azzurro
di origini Istriane, Svizzere e Emiliane, ricorda
insieme alla moglie Katja che la Vigilia era il giorno più atteso dai bambini, si
sarebbero aperti i pacchetti, e mangiati i biscotti, preparati tutti insieme una
quindicina di giorni prima. Per celebrare l’Epifania invece, le donne di casa avrebbero
cucinato una deliziosa ciambella dolce, mettendo nell’impasto una piccola
coroncina di argento. Fortunato chi la trovava, per quel giorno gli sarebbe
stato permesso tutto …”. La scrittrice e giornalista fiorentina, Patrizia Gucci, trascorreva il Natale
nella grande casa di Roma, dove la nonna inglese allestiva con attenzione il
grande tavolo. Avrebbero servito: vaul avant ripieni di carne, salmone e creme,
il roast-beef, e un primo piatto. Poi finalmente per i bambini il grande
momento, entrava un cameriere a luci spente reggendo il fiammeggiante Christmas
Pudding, il tradizionale dolce inglese farcito di uvetta e canditi, guarnito
con una salsa calda a base di uova, latte e cognac, e al termine i regali, appesi
ai rami del grande albero.” Mariella Mengozzi, dinamica manager, che
ha guidato per oltre due anni la Galleria Ferrari, ricorda che a Castrocaro, suo paese natio, “il giorno della Vigilia si era tutti
impegnati nel rito del tortellino, prima la sfoglia, e poi il compenso (cosi viene
chiamato il ripieno), e qualche volta il tartufo. Vietato assaggiare fino al 25,
e durante la cena leggera della Vigilia, si riempiva un piatto di pietanze, lasciato
nella notte per i defunti. Nella casa dei suoceri modenesi invece, la sera del
24 dicembre, mentre si beve l’aperitivo, gli invitati estraggono tutte le
banconote che hanno in tasca mettendole sotto al tovagliolo, vi rimarranno fino
al pranzo del giorno dopo”. 
Il Conte
Agostino Venerosi della Seta
nobile pisano, e proprietario dello storico
Caffè dell’ Ussero ricorda: “Per la
Vigilia un leggero brodino di verdure con cavolo, pomodori e un uovo, prima
della messa di mezza notte. Alle 11,30 del giorno dopo, il pranzo di Natale con
un trionfo di portate di pesce e carne alternati da un rinfrescante sorbetto, e
poi il gran finale, la torta dei Bischeri, un ostinata famiglia del medioevo fiorentino,
che proprio non voleva saperne di vendere alcuni palazzi di proprietà, in modo
da farne alzare il prezzo. Finchè un giorno subirono un devastante incendio che
li distrusse quasi completamente, e vennero acquistati dal Comune di Firenze
per il valore di una torta”
. Maurizio
Marinella
, l’artigiano delle cravatte più eleganti, fornitore da sempre
della Casa Reale inglese di tutti i presidenti americani da Kennedy in poi,
ripensa al Natale della sua infanzia: “solo
quando vi fu il consolidamento dell’attività, divenne una ricorrenza
festeggiata con sfarzo e abbondanza, tortellini in brodo, linguine ai frutti di
mare, pollo oppure agnello con i piselli, insalata di rinforzo, con cavolo,
olive, acciughe, e sott’aceti, poi finalmente i dolci: le cassate, le pastiere,
i roccocò, i susanielli, gli struffoli. I regali che ci scambiavamo, erano tutti
più utili che futili, e la sera della Vigilia il nonno faceva il discorso”.
La
giornalista, e scrittrice, torinese esperta di bon ton, Barbara Ronchi della Rocca: “per
Natale si sfoggiava, la cristalleria più preziosa, candele accese e rami
d’ agrifoglio, tanti antipasti, e gli agnolotti e poi, verso la fine, i grandi
bicchieri ballon, per il barolo che accompagnava l’immancabile tacchino ripieno,
poi finalmente i dolci, accanto al “nordico” panettone non mancavano mai il
Panforte, i cantucci, i brigidini e altri dolci toscani, in onore della regione
d’origine di mio padre. Versato il moscato nelle coppe, anche a noi bambine un
sorso minuscolo. Di matrice francese era la focaccia dolce servita l’epifania a
colazione, nell’ impasto si nascondeva una fava, e chi la trovava veniva
nominato “re” o “regina” della festa”.
La Contessa Marina Cicogna produttrice cinematografica, ricorda la
meravigliosa allegria della Vigilia di Natale trascorsa a Villa Maser, patrimonio
dell’umanità con opere del Veronese e del Palladio: “si iniziava con una semplice pasta e fagioli, poi c’era la messa nel
tempietto del parco. Una volta rientrati iniziava la cena, a base tagliolini al
tartufo, tacchino farcito, anatra di arancia, volatili, al centro della tavola,
una composizione floreale bassa con fiori, vischio, candele e pigne. L’apertura
dei regali, era preceduta dal Christmas Pudding flambè, ripieno di monili
portafortuna in argento, destinati ai più fortunati di noi, ma soprattutto il
grande panettone di Cova, fornito in una speciale versione, con dose doppia di
uvetta sultanina”.

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