IL LAMBRUSCO DI FRANCESCO GROSSI A CASTELVETRO, FATTO COME UNA VOLTA
di Luca Bonacini
Percorrere
via San Polo a Castelvetro, in una giornata di sole, magari in bicicletta, è un
esercizio di puro relax per la mente e ti riconcilia con il mondo. Il torrente
Guerro ti scorre accanto placido, accanto ci sono le torri merlate del maniero medievale
dei Rangoni, davanti a te ripidi campi coltivati con ordine, e stradine impervie
che si dipanano verso la sommità della collina, fino alla chiesetta di
Villabianca e alla torre di Denzano, protetti dall’occhio vigile del Santuario
di Puianello, considerato lo “Stelvio” dei ciclisti modenesi. Un luogo
piacevole e tranquillo, che già nel Settecento assicurava un “soggiorno gaio e
gradito”, e che ebbe ospiti personaggi illustri, come Carlo Sigonio e
soprattutto Torquato Tasso. Una terra che concepisce lambruschi scuri, corposi,
tannici, che ben si sposano con la nostra cucina opulenta, luoghi dove ci sono produttori
virtuosi che credono nella qualità, e nel vino fatto ancora con l’uva. Tra questi,
uno in particolare si distingue per una particolare osservanza ai dettami
dell’agricoltura “naturale”. Un azienda modello, dove ogni singola azione sul
terreno è ponderata accuratamente, alla guida Francesco Grossi, avvocato, che ha
acquisito l’azienda di famiglia datata 1700. Da vero fondamentalista del
lambrusco “naturale”, ha attuato una riconversione completa asportando i vigneti che
c’erano, e puntando tutto sui vecchi cloni di lambrusco, risultato 5 ettari
vitati dove crescono uve di grasparossa di Castelvetro, ancillotta e trebbiano
di Castelvetro, dalle quali si ottengono 12 mila bottiglie l’anno. Un ritorno
ai sapori originari, in netta controtendenza con il mercato, un lambrusco
fermentato in bottiglia senza utilizzo di autoclave, nato dall’ancestrale
combinazione di “7 casse di grasparossa, 2 d’uve d’oro e una di
trebbiano”, secondo la tradizione, che esprime un piccolo gioiello per gli
amanti del lambrusco naturale di qualità. Vini franchi e sinceri, dalle
persistenze che non si dimenticano facilmente, che manifestano la passione di
fare le cose bene, senza sforzare, senza ricorrere alla chimica, nel rispetto della
tradizione, sempre più spesso trascurata. C’è l’intrigante “Prugnolo”, ottenuto
dalla vinificazione tradizionale del Grasparossa; c’è l’esplicito e complesso “Ciocca
Rumela”, dall’etimo di una primitiva varietà di mele locali, ottenuto dalla
vinificazione sulle bucce, di uve grasparossa, ancillotta e trebbiano di
Castelvetro, senza filtrazione, fermentato in bottiglia, dal colore rubino scuro,
dal profumo di frutti rossi, che al palato rilascia profonde sensazioni pastose,
fresche, speziate; e c’è il “Bubbolo”, un rosso fermo ottenuto dalle medesime
uve del Ciocca Rumela.
via San Polo a Castelvetro, in una giornata di sole, magari in bicicletta, è un
esercizio di puro relax per la mente e ti riconcilia con il mondo. Il torrente
Guerro ti scorre accanto placido, accanto ci sono le torri merlate del maniero medievale
dei Rangoni, davanti a te ripidi campi coltivati con ordine, e stradine impervie
che si dipanano verso la sommità della collina, fino alla chiesetta di
Villabianca e alla torre di Denzano, protetti dall’occhio vigile del Santuario
di Puianello, considerato lo “Stelvio” dei ciclisti modenesi. Un luogo
piacevole e tranquillo, che già nel Settecento assicurava un “soggiorno gaio e
gradito”, e che ebbe ospiti personaggi illustri, come Carlo Sigonio e
soprattutto Torquato Tasso. Una terra che concepisce lambruschi scuri, corposi,
tannici, che ben si sposano con la nostra cucina opulenta, luoghi dove ci sono produttori
virtuosi che credono nella qualità, e nel vino fatto ancora con l’uva. Tra questi,
uno in particolare si distingue per una particolare osservanza ai dettami
dell’agricoltura “naturale”. Un azienda modello, dove ogni singola azione sul
terreno è ponderata accuratamente, alla guida Francesco Grossi, avvocato, che ha
acquisito l’azienda di famiglia datata 1700. Da vero fondamentalista del
lambrusco “naturale”, ha attuato una riconversione completa asportando i vigneti che
c’erano, e puntando tutto sui vecchi cloni di lambrusco, risultato 5 ettari
vitati dove crescono uve di grasparossa di Castelvetro, ancillotta e trebbiano
di Castelvetro, dalle quali si ottengono 12 mila bottiglie l’anno. Un ritorno
ai sapori originari, in netta controtendenza con il mercato, un lambrusco
fermentato in bottiglia senza utilizzo di autoclave, nato dall’ancestrale
combinazione di “7 casse di grasparossa, 2 d’uve d’oro e una di
trebbiano”, secondo la tradizione, che esprime un piccolo gioiello per gli
amanti del lambrusco naturale di qualità. Vini franchi e sinceri, dalle
persistenze che non si dimenticano facilmente, che manifestano la passione di
fare le cose bene, senza sforzare, senza ricorrere alla chimica, nel rispetto della
tradizione, sempre più spesso trascurata. C’è l’intrigante “Prugnolo”, ottenuto
dalla vinificazione tradizionale del Grasparossa; c’è l’esplicito e complesso “Ciocca
Rumela”, dall’etimo di una primitiva varietà di mele locali, ottenuto dalla
vinificazione sulle bucce, di uve grasparossa, ancillotta e trebbiano di
Castelvetro, senza filtrazione, fermentato in bottiglia, dal colore rubino scuro,
dal profumo di frutti rossi, che al palato rilascia profonde sensazioni pastose,
fresche, speziate; e c’è il “Bubbolo”, un rosso fermo ottenuto dalle medesime
uve del Ciocca Rumela.
Pubblicato sul Resto del Carlino, febbraio 2014