
Viaggiare in treno ha un fascino tutto speciale e molti di noi non vedono l’ora di progettare una vacanza che per nulla al mondo contempli l’auto. Cosa c’è di meglio che lasciarsi trasportare da una città all’altra comodamente seduti, guardando il panorama, pensando, leggendo, scrivendo o facendo progetti, poco importa se per qualche ora o qualche giorno. Nel volume ‘Treni Letterari’ di Giovanni Capecchi e Maurizio Pistelli, si riscopre lo stretto rapporto che lega gli scrittori al treno, grazie ai loro diari e alle loro opere, dove traspare il fascino di questo mezzo di locomozione, che nel Dopoguerra del Novecento sembrava avviarsi verso il tramonto, ma che invece negli ultimi vent’anni con la scoperta dell’alta velocità è ritornato in auge per chi lo usa per lavoro o viaggia per piacere. Vagoni e stazioni hanno sempre fornito ispirazione ai più grandi autori che ne hanno scritto in più occasioni, in qualche modo sperando che quella trasferta non terminasse mai. Nelle oltre quattrocento pagine del volume: ‘Treni Letterari. Binari, ferrovie e stazioni in Italia tra ’800 e ’900 – Lindau 2021’, gli autori esplorano tutte le connessioni possibili che congiungono il treno alla letteratura, scomodando scrittori di nome e Premi Nobel, come Luigi Pirandello, Giosuè Carducci, Italo Svevo, passando per Elsa Morante, Dino Buzzati, Elio Vittorini, in un suggestivo affresco tra ‘800 e ‘900.

Ma i treni e le stazioni sono anche luoghi dove si va a cena vestiti da gran sera e non sempre posti dove mangiarsi un panino in piedi frettolosamente guardando l’orologio. Alla stazione di St.Pancras a Londra, c’è il ristorante Gilbert Scott, dove si prenota settimane prima, per gustare il British Roast, il classico arrosto della domenica firmato da Marcus Wareing. Al Ginza Metro Station di Tokyo, a garantire un’esperienza gastronomica di prima grandezza, c’è lo chef tristellato Sukiyabashi Jiro. A Le Train Bleu della Gare du Lyon a Parigi, dove sedevano Coco Chanel, Brigitte Bardot e Salvador Dalí, si cena tradizionale francese, tra affreschi, candelabri d’argento, vetrate e stucchi dorati. Al Grand Central Oyster Bar, di New York, si possono gustare le migliori ostriche della città. Alla Union Station di Los Angeles c’è il Traxx Restaurant, in stile coloniale spagnolo, immortalato in Blade Runner, dove si ordina una superlativa tartare di tonno. Meno altisonante ma molto local la proposta nelle stazioni del Belpaese, con il Mercato Centrale a pochi passi dalla stazione Termini di Roma, dove si va per la pizza di Marco Quintili, i fritti di Arcangelo Dandini e i tartufi di Luciano Savini. O come la stazione di Milano, dove gustare pizze gourmet e panini stellati, per carnivori e vegan o quella di Bologna, con le crescentine sopraffine di Dispensa Emilia e lo strepitoso Club Sandwich di Gamberini 1907. E Modena? Oggi cenare in stazione è altamente sconsigliabile, ma c’è stato un tempo in cui era di moda. Nei primi anni sessanta teneva banco il ristorante della famiglia Armaroli, con i piatti di Enrico Bigiani detto Gianni, riconosciuto per l’eccellente cucina modenese e per i golosi ‘cestini’ di chi aveva i minuti contati. Un luogo dove si potevano incontrare i giornalisti delle locali redazioni, che mandato in stampa il quotidiano, si fermavano a cena fino a tarda ora, insieme a imprenditori, gente di passaggio, biasanot modenesi e personaggi famosi, come lo scrittore Antonio Delfini o il campione Gino Bartali, quando era in città per il tagliando alla sua Maserati.
