Scrittori & Cocktail

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Si racconta che gli scrittori amino l’alcool e a rileggerne le biografie forse è davvero così. Da sempre la suggestione dello shaker sembra essere per la poesia e l’intelletto meglio della miglior musa, una fonte di ispirazione inesauribile a cui pochi grandi del passato hanno saputo sottrarsi. Mark Twain nel 1874 scrive alla moglie per assicurarsi che in casa non manchi l’occorrente per il Whisky sour. “Mia cara Livy, vorrei che ricordassi di lasciare nella stanza da bagno per quando arrivo, una bottiglia di whisky, un limone, dello zucchero in polvere e una bottiglia di angostura…”. Raymond Chandler, papà di Philip Marlowe, doveva amare parecchio il Gimlet, quel cocktail a base di gin e sciroppo di lime, compare tra le pagine del suo penultimo libro giallo ‘Il lungo addio’ ben ventuno volte. Difficile scegliere il drink d’elezione di Ernest Hemingway, ne aveva diversi, uno in ogni Paese dove risiedeva, ma il Doppio Daiquiry ghiacciato (e rinforzato) del Floridita a l’Havana, era senz’altro uno dei suoi prediletti. Pablo Neruda, quando accoglieva gli ospiti nella sua casa art dèco di Valparaiso in Cile, gli offriva immancabilmente ‘El Coquetelon’, un drink della casa a base di cognac, Cointreau e spremuta di arancia. Jack Kerouac, autore di On the road, durante i suoi numerosi viaggi in Messico aveva scoperto il Margarita a base di tequila, Cointreau, succo di lime, sale e guai al barman che non lo sapeva preparare. John Steinbeck, premio Nobel nel 1922, autore della Valle dell’Eden e Uomini e topi, si dedicava ai drink forti e decisi come il Jack Rose, a base di calvados, granatina, succo di limone e lime. Un edizione preziosa per scoprire quella parte un pò privata, ma non troppo, della vita degli scrittori connessa ai cocktail e al loro rapporto con l’alcool. Il volume “Bere come un vero scrittore”, con traduzione di Camilla Pieretti, Edizioni Il Saggiatore – 2021, ci porta a casa e al bar con gli autori più celebrati della letteratura ed entra nel vivo delle ricette, delle dosi, attraverso consigli e aneddoti per preparare e gustare i drink più bevuti e raccontati. L’assenzio alla Closerie des Lilas in compagnia di Charles Baudelaire, Paul Verlaine e Oscar Wilde. Il Gin Rickey di Francis Scott Fitzgerald, il Manhattan di Dashiell Hammett, il Black Velvet di Donna Tartt o il Vesper Martini (agitato) di Ian Fleming. E ancora il Negus di Jane Austen, il Gin Twist di Walter Scott o l’Hot Toddy speciale di Gustave Flaubert. Per proseguire con il Singapore Sling (mescal e birra a parte) di Hunter S. Thompson. I diciotto whisky di fila di Dylan Thomas, l’Horse’s Neck di Noël Coward o il Bloody Mary da colazione di Raymond Carver, in un affresco alcolico con 100 ricette memorabili, entrate di diritto nella storia della letteratura. E gli scrittori all’ombra della Ghirlandina? I modenesi più affermati sembra proprio che non abbiano avuto mai o quasi un amore viscerale per i drink, in luogo di una predilezione mai venuta meno per sua maestà il Lambrusco. Tanto è vero che Antonio Delfini nei suoi Diari, parla poco di cocktail, ma cita ripetutamente vermouth, cognac e liquori in genere, tra cui lo Strega, che poi sono gli ingredienti di tantissimi miscelati. Mentre il cosmopolita Paolo Monelli è decisamente più esplicito, mancherà addirittura un concerto di Louis Armstrong a New Orleans, per andare ad assaggiare un cocktail a base di marc, cognac, zucchero e spezie, preparato da Antoine Peychaud, un famoso farmacista/barman.

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di Luca Bonacini

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