LA PIU’
BELLA
BELLA
La lettera più
bella, scritta nel 2013 a un giornale o settimanale, premiata a Bolzano
bella, scritta nel 2013 a un giornale o settimanale, premiata a Bolzano
di Luca Bonacini
In questi momenti difficili il nostro Paese
ha bisogno di tutto, ma soprattutto di solidarietà. Mancano soldi, manca il
lavoro, mancano le certezze fondamentali, e se ognuno di noi suo malgrado, non riesce
materialmente ad aiutare gli altri come vorrebbe, impegnato ad aiutare sé stesso,
che non venga mai a mancare la solidarietà, quel darsi una mano fraterno che ha
contraddistinto la nostra gente nei momenti più duri. L’ iniziativa ideata dal
giornalista Guido Vigna e promossa dall’Azienda di soggiorno e turismo di
Bolzano, è un bellissimo modo per dare voce a chi non ce l’ha, e dare una mano.
Il concorso “Caro Direttore”, indetto per
individuare la lettera più bella scritta a un giornale o un settimanale, si è
concluso, e ha i suoi vincitori: si è qualificata al primo posto una lettera
scritta da una lettrice a Vanity Fair, secondi ex aequo La Stampa e Io Donna. 50mila
in gara nell’iniziativa, che coinvolgeva una giuria presieduta da Lella Costa, e
formata da giornalisti e scrittori come Giulio Anselmi, Camilla Baresani,
Roberto Bertinetti, Isabella Bossi Fedrigotti, Ilvo Diamanti, Massimo Donelli,
Stefano Lorenzetto, Marcello Lunelli, Pierluigi Magnaschi, Bruno Manfellotto,
Marzio Achille Romani, Alessandro Saviola, Fabio Tamburini, Edoardo Raspelli.
Lettere di denuncia, di protesta, di aiuto, un elenco lunghissimo di ciò che
non va in Italia, episodi tristi, tragici, tragicomici, che spesso per
disperazione, quando ormai si è tentato di tutto, e si è rimasti inascoltati,
vengono affidati in estrema razio alla stampa. Le storiche sale dell’hotel
Laurin di Bolzano, teatro dell’evento che ha proclamato “La lettera più
bella del 2013”, pubblicata il 17 aprile su Vanity Fair, che parla di un sorprendente amore fraterno, che riesce ad
andare oltre alle assurdità di un sistema che ti penalizza se tieni in casa un
disabile grave invece di ricoverarlo. Una lunga confessione nella quale Rita
racconta perché non si separerà mai dalla sorella, Nicoletta, che ha il cervello
di una bambina di tre mesi. Una straordinaria lezione di vita, si legge nelle
motivazioni, nella quale il dolore, le difficoltà economiche, la
sordità delle istituzioni si infrangono contro la barriera
dell’amore familiare che avvolge Nicoletta. Il premio in palio, un week end a
Bolzano, in occasione del Mercatino di Natale, ospite dell’Azienda di soggiorno
e turismo di Bolzano che ha promosso l’iniziativa (www.carodirettore.eu), e una
cucina realizzata con pannello ecologico per Ikea(e donata dai costruttori, il
Gruppo Mauro Saviola di Viadana, MN). Secondo posto ex aequo per due lettere
apparse su Io Donna (nella quale si ricorda la studentessa vittima di un
assassinio, giusto 30 anni fa), e su La Stampa: qui una donna rimasta senza
lavoro racconta le sue speranze per ricominciare.
ha bisogno di tutto, ma soprattutto di solidarietà. Mancano soldi, manca il
lavoro, mancano le certezze fondamentali, e se ognuno di noi suo malgrado, non riesce
materialmente ad aiutare gli altri come vorrebbe, impegnato ad aiutare sé stesso,
che non venga mai a mancare la solidarietà, quel darsi una mano fraterno che ha
contraddistinto la nostra gente nei momenti più duri. L’ iniziativa ideata dal
giornalista Guido Vigna e promossa dall’Azienda di soggiorno e turismo di
Bolzano, è un bellissimo modo per dare voce a chi non ce l’ha, e dare una mano.
Il concorso “Caro Direttore”, indetto per
individuare la lettera più bella scritta a un giornale o un settimanale, si è
concluso, e ha i suoi vincitori: si è qualificata al primo posto una lettera
scritta da una lettrice a Vanity Fair, secondi ex aequo La Stampa e Io Donna. 50mila
in gara nell’iniziativa, che coinvolgeva una giuria presieduta da Lella Costa, e
formata da giornalisti e scrittori come Giulio Anselmi, Camilla Baresani,
Roberto Bertinetti, Isabella Bossi Fedrigotti, Ilvo Diamanti, Massimo Donelli,
Stefano Lorenzetto, Marcello Lunelli, Pierluigi Magnaschi, Bruno Manfellotto,
Marzio Achille Romani, Alessandro Saviola, Fabio Tamburini, Edoardo Raspelli.
Lettere di denuncia, di protesta, di aiuto, un elenco lunghissimo di ciò che
non va in Italia, episodi tristi, tragici, tragicomici, che spesso per
disperazione, quando ormai si è tentato di tutto, e si è rimasti inascoltati,
vengono affidati in estrema razio alla stampa. Le storiche sale dell’hotel
Laurin di Bolzano, teatro dell’evento che ha proclamato “La lettera più
bella del 2013”, pubblicata il 17 aprile su Vanity Fair, che parla di un sorprendente amore fraterno, che riesce ad
andare oltre alle assurdità di un sistema che ti penalizza se tieni in casa un
disabile grave invece di ricoverarlo. Una lunga confessione nella quale Rita
racconta perché non si separerà mai dalla sorella, Nicoletta, che ha il cervello
di una bambina di tre mesi. Una straordinaria lezione di vita, si legge nelle
motivazioni, nella quale il dolore, le difficoltà economiche, la
sordità delle istituzioni si infrangono contro la barriera
dell’amore familiare che avvolge Nicoletta. Il premio in palio, un week end a
Bolzano, in occasione del Mercatino di Natale, ospite dell’Azienda di soggiorno
e turismo di Bolzano che ha promosso l’iniziativa (www.carodirettore.eu), e una
cucina realizzata con pannello ecologico per Ikea(e donata dai costruttori, il
Gruppo Mauro Saviola di Viadana, MN). Secondo posto ex aequo per due lettere
apparse su Io Donna (nella quale si ricorda la studentessa vittima di un
assassinio, giusto 30 anni fa), e su La Stampa: qui una donna rimasta senza
lavoro racconta le sue speranze per ricominciare.
LA
LETTERA PIUBELLA DEL 2013 SU VANITY FAIR DEL 17 APRILE
LETTERA PIUBELLA DEL 2013 SU VANITY FAIR DEL 17 APRILE
4500 euro se affidi
un disabile a un istituto, 700 se resta in famiglia
un disabile a un istituto, 700 se resta in famiglia
Sono
la sorella più piccola di una ragazza disabile grave. Non smettete di leggere,
vi prego: so che queste cose fanno paura, ma esistono, e io voglio che mi
ascoltiate. Perchè quando dico “disabile grave” non parlo di una
persona che ha qualcosa che non va, ma di una persona che non ha nulla o quasi
che va. Nicoletta ha avuto, all’età di 3 mesi, una crisi epilettica che le ha
compromesso per sempre l’evoluzione. le sue funzioni vitali sono normali,
fisicamente è normale, ma il suo cervello è rimasto quello di una bambina di 3
mesi. Dorme in un letto con le sbarre, come i neonati. Va alzata, lavata,
imboccata, seguita 24 ore su 24. Non parla, non comunica, non ti dice né se ha
fame sete sonno dolore gioia, né se deve andare in bagno. Cammina, ma non sa
dove va, nè se ci sono scale o pericoli. I miei l’hanno sempre tenuta in casa
con loro, accontentandosi di vivere con lo stipendio da operaio di mio padre e
la misera pensione che lo Stato passa a Nicoletta, a grandi linee 260 euro più
460 per l’accompagnamento. Ma mia madre- che ha sacrificato tutta la vita per
seguirla- ha ormai 70 anni e non può andare avanti così. Se finora ce l’abbiamo
fatta è perché io lavoro e, a 45 anni, dovrò continuare a farlo per molto
tempo. Ma chi si occuperà di lei? I soldi della pensione non bastano certo a
garantirle un’assistenza. Ci sono cose che non capisco: perché un cieco totale
ha diritto a 900 euro di accompagnamento, il doppio di mia sorella? Lui può
leggere l’alfabeto Braille, lei non sa neppure che cosa significa leggere; lui
con un cane guida può camminare, lei ha gli occhi sani ma non sa tenere un
guinzaglio, non sa che cosa siano un guinzaglio, un cane, una strada, un
marciapiede. Ma soprattutto: perché lo Stato dà 150 euro al giorno- 4.500 euro
al mese dei vostri soldi di contribuenti- a chi mette i figli in un istituto, e
a noi poco più di 700? Nicoletta ha 46 anni, uno più di me, io le voglio bene,
è mia sorella e non l’abbandono. Non la metterò mai in un istituto. Se per
accudirla dovrò smettere di lavorare faremo la fame insieme, ma i sacrifici di
mia madre non li butto via. Secondo la legge ha tutto quello che le spetta,
secondo me no. Da un anno giro da un ufficio all’altro, ma nessuno mi sa
aiutare o consigliare. Non è giusto che una famiglia venga abbandonata a se
stessa perché ha fatto una scelta d’amore. Non è giusto chiedere a due genitori
di vivere così, e di morire sapendo di lasciare i figli nella disperazione.
Scrivo per me, e per i tanti come me.
la sorella più piccola di una ragazza disabile grave. Non smettete di leggere,
vi prego: so che queste cose fanno paura, ma esistono, e io voglio che mi
ascoltiate. Perchè quando dico “disabile grave” non parlo di una
persona che ha qualcosa che non va, ma di una persona che non ha nulla o quasi
che va. Nicoletta ha avuto, all’età di 3 mesi, una crisi epilettica che le ha
compromesso per sempre l’evoluzione. le sue funzioni vitali sono normali,
fisicamente è normale, ma il suo cervello è rimasto quello di una bambina di 3
mesi. Dorme in un letto con le sbarre, come i neonati. Va alzata, lavata,
imboccata, seguita 24 ore su 24. Non parla, non comunica, non ti dice né se ha
fame sete sonno dolore gioia, né se deve andare in bagno. Cammina, ma non sa
dove va, nè se ci sono scale o pericoli. I miei l’hanno sempre tenuta in casa
con loro, accontentandosi di vivere con lo stipendio da operaio di mio padre e
la misera pensione che lo Stato passa a Nicoletta, a grandi linee 260 euro più
460 per l’accompagnamento. Ma mia madre- che ha sacrificato tutta la vita per
seguirla- ha ormai 70 anni e non può andare avanti così. Se finora ce l’abbiamo
fatta è perché io lavoro e, a 45 anni, dovrò continuare a farlo per molto
tempo. Ma chi si occuperà di lei? I soldi della pensione non bastano certo a
garantirle un’assistenza. Ci sono cose che non capisco: perché un cieco totale
ha diritto a 900 euro di accompagnamento, il doppio di mia sorella? Lui può
leggere l’alfabeto Braille, lei non sa neppure che cosa significa leggere; lui
con un cane guida può camminare, lei ha gli occhi sani ma non sa tenere un
guinzaglio, non sa che cosa siano un guinzaglio, un cane, una strada, un
marciapiede. Ma soprattutto: perché lo Stato dà 150 euro al giorno- 4.500 euro
al mese dei vostri soldi di contribuenti- a chi mette i figli in un istituto, e
a noi poco più di 700? Nicoletta ha 46 anni, uno più di me, io le voglio bene,
è mia sorella e non l’abbandono. Non la metterò mai in un istituto. Se per
accudirla dovrò smettere di lavorare faremo la fame insieme, ma i sacrifici di
mia madre non li butto via. Secondo la legge ha tutto quello che le spetta,
secondo me no. Da un anno giro da un ufficio all’altro, ma nessuno mi sa
aiutare o consigliare. Non è giusto che una famiglia venga abbandonata a se
stessa perché ha fatto una scelta d’amore. Non è giusto chiedere a due genitori
di vivere così, e di morire sapendo di lasciare i figli nella disperazione.
Scrivo per me, e per i tanti come me.
Rita
EX
AEQUO
AEQUO
La Stampa 15
gennaio 2013
gennaio 2013
Ricomincerò a
cinquant’anni
cinquant’anni
1-3-1993
/ 20-12-2012 riconsegna della tessera dopo l’ultima timbratura: grazie e
arrivederci senza protestare per evitare problemi a chi rimane. E pensare che
credevo d’invecchiare in quel posto, sono arrivata a quasi vent’anni pieni di corse
per non arrivare in ritardo, di panini riscaldati nel microonde, di voglia di
imparare qualche cosa di nuovo, di rimettersi sempre in gioco e adattarsi alle
diversità del lavoro, di ricerca di persone che ti sanno capire e collaborare
con te, di ricerca di evitare quelle altre persone (poche) che invece non ti
considerano, di voglia di portare una divisa con su un nome che ti riempie di
orgoglio. Sì, ho portato così quelle divise che mi davano un senso di
appartenenza e ora, come succede nei film americani, ho riposto dentro una
scatola insieme alle cose tolte dall’armadietto e a tutti i ricordi di quegli
anni appesi sul muro alle mie spalle. Ho fatto tutto come un automa, all’apparenza,
senza provare nulla, mentre nella testa mi ripetevo che non era possibile, che
mi sarei svegliata da quel brutto sogno. 7-1-2013, stamane alle 8 la sirena ha
suonato ancora in quel posto, ma non per me! Buon anno ai miei colleghi, a chi
mi porta nel cuore e a chi leggendomi ha trovato un po della sua storia: io
ricomincerò (spero), tanto ho solo cinquant’anni.
/ 20-12-2012 riconsegna della tessera dopo l’ultima timbratura: grazie e
arrivederci senza protestare per evitare problemi a chi rimane. E pensare che
credevo d’invecchiare in quel posto, sono arrivata a quasi vent’anni pieni di corse
per non arrivare in ritardo, di panini riscaldati nel microonde, di voglia di
imparare qualche cosa di nuovo, di rimettersi sempre in gioco e adattarsi alle
diversità del lavoro, di ricerca di persone che ti sanno capire e collaborare
con te, di ricerca di evitare quelle altre persone (poche) che invece non ti
considerano, di voglia di portare una divisa con su un nome che ti riempie di
orgoglio. Sì, ho portato così quelle divise che mi davano un senso di
appartenenza e ora, come succede nei film americani, ho riposto dentro una
scatola insieme alle cose tolte dall’armadietto e a tutti i ricordi di quegli
anni appesi sul muro alle mie spalle. Ho fatto tutto come un automa, all’apparenza,
senza provare nulla, mentre nella testa mi ripetevo che non era possibile, che
mi sarei svegliata da quel brutto sogno. 7-1-2013, stamane alle 8 la sirena ha
suonato ancora in quel posto, ma non per me! Buon anno ai miei colleghi, a chi
mi porta nel cuore e a chi leggendomi ha trovato un po della sua storia: io
ricomincerò (spero), tanto ho solo cinquant’anni.
Marcella62,
Borgo San Dalmazzo(Cuneo)
Borgo San Dalmazzo(Cuneo)
Io Donna 27 aprile
2013
2013
La mia amica Sandra
e quel femminicidio rimasto impunito
e quel femminicidio rimasto impunito
Trent’anni
fa a Venezia si compì un femminicidio senza senso. Sandra, la mia compagna
di corso alla facoltà di Lingue orientali dell’Università
di Ca’ Foscari, fu assassinata a coltellate da un pazzo che
si era innamorato di lei. Era il 25 gennaio 1983 e Sandra aveva 20 anni.
Insieme avevamo deciso di studiare Archeologia cinese. Sognavamo di scoprire la
misteriosa dinastia Xia, che ancora oggi elude gli archeologi. Non potè essere
così per lei. Per me sì, continuai gli studi senza di lei. Ma ogni anno Sandra
ritorna e mi chiede di parlare di lei e del suo destino. Così vi scrivo per
darle requie. Sandra era partita dalla Sicilia per studiare a Venezia. Avrebbe
potuto studiare all’Orientale di Napoli o a Roma ma voleva vivere a Venezia. Il
primo anno alloggiò in una casetta annessa a un istituto di suore. Il secondo
anno, quando le suore decisero di adibire la casa ad altro uso, i genitori le
comprarono un locale nelle vicinanze. Rimasero in amicizia con la famiglia
veneziana che lo aveva venduto loro: Sandra veniva invitata a pranzo quando era
sola a Venezia (nei fine settimana la maggioranza degli studenti tornava a
casa). Così conobbe il figlio, che si innamorò di lei. Lei no, mai. Era
indipendente e voleva andare in Cina. Lui veniva a trovarla spesso, ma solo
quando era sola: se aveva amici in casa, non entrava. Sandra sbuffava, diceva
che non lo sopportava più, che non sapeva cosa fare. Poi un giorno, circa una
settimana prima di essere aggredita, mi disse che le era venuta un’idea. Gli
avrebbe detto che era innamorata di un altro, specificamente del professore di
Cinese classico. Buona idea le dissi, così la smette di
scocciarti. Non fu una buona idea. Il 25 gennaio, quando stava per andare alla
lezione di Cinese classico, lui arrivò con un mazzo di rose e una foto che lo
ritraeva mentre suonava il violino sui tetti di Venezia. Chissà cosa successe
esattamente, ma lui la colpì molte altre volte con un coltello da sub comprato
pochi giorni prima. Forse la lasciò agonizzante. E lasciò anche una lettera
farneticante nella quale si diceva che se Sandra non poteva essere sua, non
sarebbe mai stata di nessun altro. Poi andò a buttarsi dalla
finestra dell’istituto dove insegnava musica. Venezia si risvegliò
il giorno dopo con un omicidio e un suicidio. Varie teorie vennero espresse,
anche quella secondo cui Sandra era stata uccisa dalla mafia (dopo
tutto era siciliana, no?). Quando non ci furono dubbi che l’assassino fosse
veneziano, si riscrisse la storia. Lui divenne il fidanzato di Sandra. L’assassinio
divenne una storia d’amore. I due corpi furono messi in stanze adiacenti all’obitorio.
Gli amici di lui, intervistati, dissero che era una persona buonissima e così
gentile che una volta aveva fatto un incidente in moto per evitare di investire
una farfalla. Ma Sandra non era una farfalla, non era la fidanzata dell’assassino,
era una donna determinata che voleva vivere la sua vita. Ora sento che a trent’anni
dalla sua morte Sandra mi chiede di far sapere questa verità in nome di tutte
le donne che vogliono vivere la loro vita.
fa a Venezia si compì un femminicidio senza senso. Sandra, la mia compagna
di corso alla facoltà di Lingue orientali dell’Università
di Ca’ Foscari, fu assassinata a coltellate da un pazzo che
si era innamorato di lei. Era il 25 gennaio 1983 e Sandra aveva 20 anni.
Insieme avevamo deciso di studiare Archeologia cinese. Sognavamo di scoprire la
misteriosa dinastia Xia, che ancora oggi elude gli archeologi. Non potè essere
così per lei. Per me sì, continuai gli studi senza di lei. Ma ogni anno Sandra
ritorna e mi chiede di parlare di lei e del suo destino. Così vi scrivo per
darle requie. Sandra era partita dalla Sicilia per studiare a Venezia. Avrebbe
potuto studiare all’Orientale di Napoli o a Roma ma voleva vivere a Venezia. Il
primo anno alloggiò in una casetta annessa a un istituto di suore. Il secondo
anno, quando le suore decisero di adibire la casa ad altro uso, i genitori le
comprarono un locale nelle vicinanze. Rimasero in amicizia con la famiglia
veneziana che lo aveva venduto loro: Sandra veniva invitata a pranzo quando era
sola a Venezia (nei fine settimana la maggioranza degli studenti tornava a
casa). Così conobbe il figlio, che si innamorò di lei. Lei no, mai. Era
indipendente e voleva andare in Cina. Lui veniva a trovarla spesso, ma solo
quando era sola: se aveva amici in casa, non entrava. Sandra sbuffava, diceva
che non lo sopportava più, che non sapeva cosa fare. Poi un giorno, circa una
settimana prima di essere aggredita, mi disse che le era venuta un’idea. Gli
avrebbe detto che era innamorata di un altro, specificamente del professore di
Cinese classico. Buona idea le dissi, così la smette di
scocciarti. Non fu una buona idea. Il 25 gennaio, quando stava per andare alla
lezione di Cinese classico, lui arrivò con un mazzo di rose e una foto che lo
ritraeva mentre suonava il violino sui tetti di Venezia. Chissà cosa successe
esattamente, ma lui la colpì molte altre volte con un coltello da sub comprato
pochi giorni prima. Forse la lasciò agonizzante. E lasciò anche una lettera
farneticante nella quale si diceva che se Sandra non poteva essere sua, non
sarebbe mai stata di nessun altro. Poi andò a buttarsi dalla
finestra dell’istituto dove insegnava musica. Venezia si risvegliò
il giorno dopo con un omicidio e un suicidio. Varie teorie vennero espresse,
anche quella secondo cui Sandra era stata uccisa dalla mafia (dopo
tutto era siciliana, no?). Quando non ci furono dubbi che l’assassino fosse
veneziano, si riscrisse la storia. Lui divenne il fidanzato di Sandra. L’assassinio
divenne una storia d’amore. I due corpi furono messi in stanze adiacenti all’obitorio.
Gli amici di lui, intervistati, dissero che era una persona buonissima e così
gentile che una volta aveva fatto un incidente in moto per evitare di investire
una farfalla. Ma Sandra non era una farfalla, non era la fidanzata dell’assassino,
era una donna determinata che voleva vivere la sua vita. Ora sento che a trent’anni
dalla sua morte Sandra mi chiede di far sapere questa verità in nome di tutte
le donne che vogliono vivere la loro vita.
Paola Demattè, professor,
Chinese art&archeology department of history of art & visual culture,
Providence, Rhode Island
Chinese art&archeology department of history of art & visual culture,
Providence, Rhode Island
RICONOSCIMENTO
SPECIALE
SPECIALE
AD
UNA LETTERA SUL WEB
UNA LETTERA SUL WEB
I
giurati hanno anche preso in considerazione le lettere più belle apparse sul
web. Questa è stata premiata con un magnum di Ferrari ( tra i patrocinatori
dell’iniziativa)
giurati hanno anche preso in considerazione le lettere più belle apparse sul
web. Questa è stata premiata con un magnum di Ferrari ( tra i patrocinatori
dell’iniziativa)
Vite di generazioni
in quella palma abbattuta
in quella palma abbattuta
Il
condomino La Palma,situato in fondo a vicolo Salimberti,a meta’ di via
Rivetta,a Casale Monferrato,per me e’ tutto ed anche per la mia famiglia e mia
zia anziana che vive li’ sola. Da 44 anni all’interno del cortile c’era lei,la
palma.Non conosceva stagioni,fredde temperature e caldo afoso,lei assisteva
alle scene di vita,al mio compleanno,alle risate di mio zio,scomparso da anni,
affetto dal nostro male di Casale Monferrato.La palma sapeva tutti i nostri
segreti,le nostre ansie,le urla e i pianti.Verso sera, aiutata dal
vento,sussurrava sempre qualcosa di buono e ci faceva capire la sua
vicinanza.Una compagna di vita:lei magra e alta serviva il cortile e lo rendeva
unico in tutta Casale!Le foto avevano la cornice della palma,quasi a voler
chiedere attenzione!Un bel giorno,dopo una riunione condominiale ove mia zia
non era presente,per ovvi motivi di eta’,beh si decide di abbatterla,troppo
pericolosa,e se poi cade e rovina il tetto?Per carita’,va bene tutto,ma
informare la mia povera zia?!Invece,oggi 11 aprile,mentre mia zia riposava,si stava
compiendo l’atto finale:la mia zietta si alza e si accorge e chiede
motivazioni,ma e’ troppo tardi,la povera palma viene abbattuta e muore per
sempre,e con lei muore una parte di me e di mia zia.Un dolore immenso,una parte
della nostra vita e’ stata distrutta da una riunione condominiale.Quella povera
donna potevate informarla?In futuro,presenzierò io le riunioni condominiali.La
vita non e’ solo modernita’ e internet,ma anche storie di ordinaria
consuetudine,come la palma che ci proteggeva e ci regalava una
certezza!Rispetto la decisione presa e l’abbattimento,ma informare la mia
povera zia?Buona vita a tutti voi,ed impariamo a rispettare la natura!
condomino La Palma,situato in fondo a vicolo Salimberti,a meta’ di via
Rivetta,a Casale Monferrato,per me e’ tutto ed anche per la mia famiglia e mia
zia anziana che vive li’ sola. Da 44 anni all’interno del cortile c’era lei,la
palma.Non conosceva stagioni,fredde temperature e caldo afoso,lei assisteva
alle scene di vita,al mio compleanno,alle risate di mio zio,scomparso da anni,
affetto dal nostro male di Casale Monferrato.La palma sapeva tutti i nostri
segreti,le nostre ansie,le urla e i pianti.Verso sera, aiutata dal
vento,sussurrava sempre qualcosa di buono e ci faceva capire la sua
vicinanza.Una compagna di vita:lei magra e alta serviva il cortile e lo rendeva
unico in tutta Casale!Le foto avevano la cornice della palma,quasi a voler
chiedere attenzione!Un bel giorno,dopo una riunione condominiale ove mia zia
non era presente,per ovvi motivi di eta’,beh si decide di abbatterla,troppo
pericolosa,e se poi cade e rovina il tetto?Per carita’,va bene tutto,ma
informare la mia povera zia?!Invece,oggi 11 aprile,mentre mia zia riposava,si stava
compiendo l’atto finale:la mia zietta si alza e si accorge e chiede
motivazioni,ma e’ troppo tardi,la povera palma viene abbattuta e muore per
sempre,e con lei muore una parte di me e di mia zia.Un dolore immenso,una parte
della nostra vita e’ stata distrutta da una riunione condominiale.Quella povera
donna potevate informarla?In futuro,presenzierò io le riunioni condominiali.La
vita non e’ solo modernita’ e internet,ma anche storie di ordinaria
consuetudine,come la palma che ci proteggeva e ci regalava una
certezza!Rispetto la decisione presa e l’abbattimento,ma informare la mia
povera zia?Buona vita a tutti voi,ed impariamo a rispettare la natura!
Odalis
Serra – Casale Monferrato(Alessandria)
Serra – Casale Monferrato(Alessandria)
Nella
foto, in alto da sinistra: Marco Alfieri, Massimo Donelli, Marcello Lunelli,
Marzio Achille Romani, Roberto Bertinetti; seduti da sinistra: Fabio Tamburini,
Lella Costa, Guido Vigna, Camilla Baresani, Edoardo Raspelli
foto, in alto da sinistra: Marco Alfieri, Massimo Donelli, Marcello Lunelli,
Marzio Achille Romani, Roberto Bertinetti; seduti da sinistra: Fabio Tamburini,
Lella Costa, Guido Vigna, Camilla Baresani, Edoardo Raspelli