TORNANO LE BIBITE DI IERI

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La rivincita delle
bibite d’antan
di Eleonora Cozzella
Bottiglie
rigorosamente di vetro, etichette old style, tornano in auge le bibite della
nonna tra gingerino, tamarindo e orzata, cedrata, chinotto e spuma. Piccole
aziende familiari si impongono di nuovo per dissetare le feste e le merende
estive ed entrare in cocktail con un pizzico d’amacord
Non
c’è da stupirsi se da molte delle etichette ammicchino sbarazzine pin up: in
fondo sono le bibite in voga negli anni 50 e 60. Alcune arrivano anche da più
lontano, dai primissimi anni Venti.
Parlano
con fare frizzante di un’Italia che amava il dolce delle bevande (non ancora
chiamate soft drink) “rinfrescanti”, ma che ancora non conosceva la
Coca Cola o la sua antagonista Pepsi, la Sprite o la 7Up, ma si dissetava
chiedendo al barista un’orzata, un tamarindo (famoso quello del dottor Erba) o
una cedrata. E che brindava all’ora dell’aperitivo con il gingerino, che pare
derivi il suo colore e il nome alla tinta dei capelli dell’amata Ginger Rogers.
E
allora, vuoi la crisi che rende le persone più sensibili al ricordo dei
“bei tempi”, vuoi il superamento da parte dei cosiddetti ‘foodie’ dei
gusti omologati che portano sugli scaffali del supermercato bibite tutte
uguali, vuoi un richiamo, modaiolo o meno, alle abitudini delle nonne, diamo il
bentornato alle bibite dell’infanzia.
Chinotti,
acque brillanti (ricordate la Recoaro e la sua pubblicità cantata negli anni
’80 dai Ricchi e Poveri?), gassose, spume e tante altre, per lo più in
bottiglia di vetro, con etichetta d’antan. Che spopolano e non solo in Italia.
Al recente Fancy Food Show di New York, lo stand Tassoni era assediato dai
curiosi in fila per assaggiare la cedrata, il cui sito è cliccatissimo da
barman professionisti o amatoriali che postano anche i loro cocktail a base di
cedrata.
Così
le piccole aziende di un tempo acquistano nuova linfa, ripopongono packaging da
amarcord e tornano coon orgoglio protagonisti di feste e happy hour.
Tra
i guru di questa fase, anche Teo Musso, faro per i giovani birrai italiani e da
pochi anni anche riscopritore di bibite gassate all’italiana: “Il mercato
aveva bisogno di un segnale controtendenza rispetto all’industria – spiega – e
ho voluto dedicarmi alle bevande vecchio stile, dietro le quali si nasconde una
storia affascinante”.  In più nella
sua azienda nelle Langhe Teo Musso le produce con ingredienti assolutamente
naturali. “Credo di essere l’unico matto che fa la cola con le noci di
cola!”. Scelta che gli vale il plauso di Slow food, visto che  le noci di cola sono quelle del Presidio Slow
Food  in Sierra Leone.  Altra particolarità è che l’assenza di
coloranti artificiali ha dato alla cola Baladin il vero colore della cola,
quindi è rossa, a differenza di tutte le altre cole.
Slow
food resta in ballo anche per un’altra storica bevanda: il Chinotto Lurisia,
dalle eleganti bottigliette allungate, prodotto con il Chinotto del Presidio di
Savona. L’antico agrume (Citrus myrtifolia) di origine cinese, infatti, è
coltivato nella riviera ligure di Ponente – nel tratto che va da Varazze a
Pietra Ligure – fin dal 1500, poiché qui ha trovato un habitat ideale.
Profumato e intenso, piacevolmente aspro e amarognolo, dà alla bibita una
godibilità unica.
Un
altro mito del Chinotto è Neri, la cui pubblicità – anzi “reclame” –
divenne un vero e proprio tormentone negli anni Cinquanta grazie a Carosello,
dove si ripeteva l’azzeccato calembour “Se NERI bevi NE Ri bevi…”. Oppure
l’altro slogan “Non è chinotto se non c’è l’8”, visto che la bibita
era scritta “Chin8”. Il Chin8Neri è stato il primo della storia e la sua
prima apparizione si ha nel 1949, nell’immediato dopoguerra, quando la Neri,
produttrice di acque minarali provenienti dallo stabilimento di Capranica (Vt),
mette sul mercato questa bevanda dal curioso gusto “dolceamaro”.
Che
non mancava nei cesti da picnic per le gite fuori porta sulle prime lambrette.
Come
alle feste non mancava la spuma, nella versione bionda (amatissima in Toscana)
o nera. E oggi all’insegna dei bei tempi e dei sapori ritrovati, bar e pub,
botteghe alimentari e reparti di delicatessen tornano ad esporre la Galvanina,
il Bitter Paoletti, la Spumador, la Gassosa bianca o verde (alla menta) della
Abbondio di Tortona, l’unica che ha avuto anche il coraggio di riproporre la
bottiglia con chiusura a biglia. Quella cioè inventata nel 1872 da Hiram Codd,
che in Uk varò il vecchio sistema per chiudere ermeticamente le bibite
sfruttando la pressione della gasatura. Per aprirla bastava fare pressione col
dito facendo uscire un po’ di gas, la pallina scendeva e si poteva bere.
Piacque subito a tutti che in Piemonte (dove per primo si adottò) si parlava
de  “ul sciampagn de la balèta”
– lo champagne della pallina. 
Il
boom economico e il tappo a corona l’hanno mandata a riposo, ma a questo punto,
visto che anche le idee vecchie vengono rispolverate, non si sa mai. E, già che
ci siamo, rivorremmo anche l’idrolitina.

Crediti | Link : Espresso Food &
Wine

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