IL PASSITO centenario degli AGGAZZOTTI

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Invecchiare con
classe: il Passito centenario degli Aggazzotti

di Luca Bonacini 


Chi
afferma che Modena non è terra di vini passiti, non si è mai seduto a tavola
con Vincenzo Amorotti e assaggiato il Passito Aggazzotti, quel prezioso nettare
centenario che lui custodisce con tanta cura in memoria dei suoi avi.
Chiunque
abbia la fortuna di assaggiare questo eccezionale prodotto della terra e
dell’uomo, rimane meravigliato dalla freschezza che ha ancora, malgrado siano
trascorsi cento e più anni
da quando è stato vendemmiato. Un vero e proprio unicum
nel panorama dei vini modenesi, un vino che ottenne apprezzamenti anche dal
Marchese Piero Antinori, ottenuto con un antico metodo di appassimento delle
uve in uso da secoli nella famiglia Aggazzotti, una delle più antiche dinastie
modenesi. Un collaudato procedimento che necessitava di infinita cura, a cui si
ricorreva solo nelle annate favorevoli, che potevano essere anche a dieci anni
di distanza una dall’altra, l’uva vendemmiata tardivamente al manifestarsi delle
prime gelate, fino all’approssimarsi della Settimana Santa, veniva raccolta proteggendo
ogni grappolo con la garza, per evitare gli insetti e gli uccelli, distesa di
notte su arelle di canna e stivata in una zona della cantina esposta a sud e
molto areata, per evitare l’umidità
. Solo nelle giornate soleggiate e solo
durante le ore di insolazione le arelle venivano esposte fuori dalla cantina.
Operazioni lunghe, faticose e dispendiose che terminavano solo al
raggiungimento del grado zuccherino desiderato, e all’ottenimento di
un’eccezionale qualità
. Ha dell’incredibile che il celebre agronomo Francesco
Aggazzotti alla fine dell’800, padroneggiasse già questa raffinata tecnica che
garantiva un eccezionale longevità al suo vino passito, un metodo che recentemente
è stato confermato essere in uso nella produzione del Recioto di Amarone
, e per
ottenere le grandissime riserve dei più blasonati champagne. Ma ecco quale era
il segreto per dare l’eternità a questo vino. 
Durante la vinificazione, si
lasciavano fermentare anche bucce e graspi, in questo modo il tannino conferiva
al vino forza e longevità,
successivamente il vino rimaneva in botte ad
affinare per almeno trent’anni, periodo nel quale era assolutamente imbevibile.
Una volta ottenuto il prezioso nettare, sopraggiungeva l’imbottigliamento, e la
messa al sicuro in buie e silenziose cantine. I gourmet possono dormire sonni
tranquilli, l’esiguo giacimento di queste centenarie bottiglie, a cui venne
imposto un sopraluogo e una ritappatura negli anni ’50, è fortunatamente al
sicuro grazie all’infinita passione di Vincenzo Amorotti
che come un Cavaliere
Templare vigila sulla loro conservazione, condividendo in alcune rare occasioni
con appassionati e amici il rito della stappatura, della filtratura, della
decantazione, e finalmente dell’assaggio.
Link : Resto del Carlino
Immagini : Italiasquisita.it – Ilgrecodiianco.it

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