I formaggi
a pasta molle
a pasta molle
di Domenico Aliperto
Oramai
siamo abituati a trovarli ovunque in pratiche vaschette di plastica, e forse
tendiamo a darli un po’ per scontati. Ma i formaggi a rapida maturazione, dal
più comune stracchino alla meno conosciuta prescinseua ligure, sono uno dei
grandi patrimoni della tradizione casearia italiana, e, alle spalle, hanno
spesso storie millenarie
siamo abituati a trovarli ovunque in pratiche vaschette di plastica, e forse
tendiamo a darli un po’ per scontati. Ma i formaggi a rapida maturazione, dal
più comune stracchino alla meno conosciuta prescinseua ligure, sono uno dei
grandi patrimoni della tradizione casearia italiana, e, alle spalle, hanno
spesso storie millenarie
CRESCENZA. Una tradizione
che più milanese di così non si può. E pochi sanno che il celeberrimo formaggio
molle, oggi onnipresente nei banchi frigo dei supermercati, una volta –
accompagnato in genere dalla mostarda cremonese – era un piatto tipico del
Natale lombardo. Questo perché la crescenza, così come lo stracchino (famiglia
di prodotti caseari a cui appartiene), poteva essere prodotta solo in inverno,
quando le basse temperature ne consentivano la conservazione, e soprattutto
dopo che le vacche tornavano stanche (“stracch”, in lombardo) dagli alpeggi
d’autunno. Il latte che se ne mungeva era povero di nutritivi, ed era così
perfetto per creare un formaggio che necessitava di pochi giorni di
invecchiamento per essere consumato. Il nome richiama la parola a cui pare
venisse associato il comportamento del prodotto quando viene a contatto con
l’aria calda. Proprio come fa la “carsenza”, ovvero la focaccia, per via del
suo alto contenuto d’acqua anche la crescenza tende infatti a gonfiarsi, quasi
a lievitare, fino a spaccarsi in superficie.
che più milanese di così non si può. E pochi sanno che il celeberrimo formaggio
molle, oggi onnipresente nei banchi frigo dei supermercati, una volta –
accompagnato in genere dalla mostarda cremonese – era un piatto tipico del
Natale lombardo. Questo perché la crescenza, così come lo stracchino (famiglia
di prodotti caseari a cui appartiene), poteva essere prodotta solo in inverno,
quando le basse temperature ne consentivano la conservazione, e soprattutto
dopo che le vacche tornavano stanche (“stracch”, in lombardo) dagli alpeggi
d’autunno. Il latte che se ne mungeva era povero di nutritivi, ed era così
perfetto per creare un formaggio che necessitava di pochi giorni di
invecchiamento per essere consumato. Il nome richiama la parola a cui pare
venisse associato il comportamento del prodotto quando viene a contatto con
l’aria calda. Proprio come fa la “carsenza”, ovvero la focaccia, per via del
suo alto contenuto d’acqua anche la crescenza tende infatti a gonfiarsi, quasi
a lievitare, fino a spaccarsi in superficie.
SQUACQUERONE. Muovendosi verso
l’orlo orientale della Pianura padana, ci si imbatte in quello che è diventato
il complemento imprescindibile della piadina romagnola. Se a prima vista il
formaggio può ricordare per consistenza e cremosità la crescenza, dal punto di
vista della lavorazione, dell’uso a tavola e soprattutto della sensazione al
palato, lo squacquerone si distingue per una serie di peculiarità che lo
rendono unico nel panorama italiano: innanzitutto, al contrario di altri
formaggi a pasta molle, lo squacquerone non ha una forma propria, ma si adatta
al contenitore in cui è inserito. L’acquosità dell’impasto deve essere compresa
tra il 59 e il 69%. La zona di produzione è sempre stata quella a cavallo di
Rimini, Forlì, Ravenna e Bologna. La prima citazione scritta del prodotto così
come lo conosciamo risale al XVIII secolo: ne parla Carlo Bellinsomi, allora
vescovo di Cesena, all’interno di una lettera in cui domanda circa gli
squacqueroni che aveva richiesto e che ancora non gli erano stati portati. Ma
la tradizione popolare ne farebbe risalire l’origine all’alto Medioevo. Oggi è
possibile acquistarlo un po’ dovunque, ma se volete gustarlo freschissimo, e
cucinato come non si può fare altrove (magari usato per mantecare un risotto da
guarnire con cubetti di culatello), fate un salto in quel di Romagna.
l’orlo orientale della Pianura padana, ci si imbatte in quello che è diventato
il complemento imprescindibile della piadina romagnola. Se a prima vista il
formaggio può ricordare per consistenza e cremosità la crescenza, dal punto di
vista della lavorazione, dell’uso a tavola e soprattutto della sensazione al
palato, lo squacquerone si distingue per una serie di peculiarità che lo
rendono unico nel panorama italiano: innanzitutto, al contrario di altri
formaggi a pasta molle, lo squacquerone non ha una forma propria, ma si adatta
al contenitore in cui è inserito. L’acquosità dell’impasto deve essere compresa
tra il 59 e il 69%. La zona di produzione è sempre stata quella a cavallo di
Rimini, Forlì, Ravenna e Bologna. La prima citazione scritta del prodotto così
come lo conosciamo risale al XVIII secolo: ne parla Carlo Bellinsomi, allora
vescovo di Cesena, all’interno di una lettera in cui domanda circa gli
squacqueroni che aveva richiesto e che ancora non gli erano stati portati. Ma
la tradizione popolare ne farebbe risalire l’origine all’alto Medioevo. Oggi è
possibile acquistarlo un po’ dovunque, ma se volete gustarlo freschissimo, e
cucinato come non si può fare altrove (magari usato per mantecare un risotto da
guarnire con cubetti di culatello), fate un salto in quel di Romagna.
PRESCINSEUA. Lo squacquerone
sta alla piadina come la prescinseua sta alla focaccia di Recco. Esatto:
nonostante molti pensino che il cremoso formaggio che cola tra le sfoglie della
tipica delizia del Tigullio sia semplice stracchino (anche se – va detto –
negli ultimi anni la maggior parte dei fornai ci si è adeguata, vista la sua
più facile reperibilità), il cuore della ricetta prevede l’uso di un latticino
che fa parte della più antica tradizione ligure. La prescinseua è una cagliata
fresca, leggermente acidula, ottenuta esclusivamente dal latte dei pascoli
dell’Appennino, la cui preparazione è conosciuta almeno dal XV secolo, nelle
case più umili come in quelle dei patrizi della Repubblica marinara (sembra
addirittura che fosse l’unico dono che i popolani potevano offrire al Doge).
Nello stesso periodo era anche raccomandata come alimento ottimo per la salute
dell’organismo, e la saggezza popolare dell’epoca è stata confermata dai
nutrizionisti oggi. Merito dell’alto contenuto di siero-proteine. Non essendo
mai diventata un prodotto industriale di massa, la difficoltà di conservazione e
la produzione non elevata ne hanno mantenuto la distribuzione e il consumo
nelle aree di origine, in Valle Stura, in particolare a Masone (Ge), oltre che
nel Golfo del Tigullio. La prescinseua, però, è anche alla base di altre due
specialità liguri: la torta pasqualina, i pansotti e i “barbagiuai”, ravioli di
zucca fritti tipici dell’entroterra di Ponente.
sta alla piadina come la prescinseua sta alla focaccia di Recco. Esatto:
nonostante molti pensino che il cremoso formaggio che cola tra le sfoglie della
tipica delizia del Tigullio sia semplice stracchino (anche se – va detto –
negli ultimi anni la maggior parte dei fornai ci si è adeguata, vista la sua
più facile reperibilità), il cuore della ricetta prevede l’uso di un latticino
che fa parte della più antica tradizione ligure. La prescinseua è una cagliata
fresca, leggermente acidula, ottenuta esclusivamente dal latte dei pascoli
dell’Appennino, la cui preparazione è conosciuta almeno dal XV secolo, nelle
case più umili come in quelle dei patrizi della Repubblica marinara (sembra
addirittura che fosse l’unico dono che i popolani potevano offrire al Doge).
Nello stesso periodo era anche raccomandata come alimento ottimo per la salute
dell’organismo, e la saggezza popolare dell’epoca è stata confermata dai
nutrizionisti oggi. Merito dell’alto contenuto di siero-proteine. Non essendo
mai diventata un prodotto industriale di massa, la difficoltà di conservazione e
la produzione non elevata ne hanno mantenuto la distribuzione e il consumo
nelle aree di origine, in Valle Stura, in particolare a Masone (Ge), oltre che
nel Golfo del Tigullio. La prescinseua, però, è anche alla base di altre due
specialità liguri: la torta pasqualina, i pansotti e i “barbagiuai”, ravioli di
zucca fritti tipici dell’entroterra di Ponente.
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Chapeaufood.com – Paciulina.it – Ricettedonnamoderna.com
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