CHIUDE LA VECCHIA SCARPA di Modena

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La Vecchia Scarpa
L’ultima birreria di Modena chiude i battenti

di Luca Bonacini
L’amico Fabrizio Loschi mi ha segnalato la chiusura imminente della Vecchia Scarpa, una birreria che ha fatto epoca e che per tanti di noi è stato un punto di riferimento di giorno e di notte. Metto a disposizione questo pezzo che avevo redatto per il Resto del Carlino due anni fa, dove ne ricostruivo i passaggi più importanti. Un sentito ringraziamento ai gestori che hanno tenuto botta fino adesso, al papà che non c’è più e ai loro progetti futuri.

 “Una birreria old style, a gestione
familiare, dove finire una serata che langue. Qui da oltre trent’anni si
osserva la regola ferrea della birra di qualità e del buon panino. Se in quegli
anni le paninoteche e birrerie erano fin troppe, oggi non ce ne sono quasi più,
e trascorrervi un oretta vi farà tornare agli anni ’80. Oltre 70 birre di tutte
le nazionalità; 60 tra panini e crostini; un ampia scelta di cocktail, e un
invidiabile selezione di distillati, grappe, whisky scozzesi e irlandesi. Siamo
nella Modena antica, tra via Canalino e Corso Canalgrande, dove esisteva già nel
1786 contrada  Scarpa, cosi chiamata da una
taverna, con quel nome, nata molti anni prima, la  via venne poi intitolata nel 1927, per uno
strano gioco di omonimia, al celebre chirurgo del ‘700 Antonio Scarpa, illustre
cattedratico del nostro Ateneo. Alla fine dell’800, il protagonista assoluto
era il vino, spillato a litri, tra una partita di carte e l’altra, e il locale
era noto come Osteria Al Sdaz (il Setaccio). Nel 1949 il cambio di gestione
mutò anche il nome del locale in Bar Torino, a ricordo della squadra granata
scomparsa tragicamente quell’anno, nel disastro di Superga. Veniva frequentato anche
da giornalisti e scrittori e venne menzionato da Antonio Delfini, nei suoi
scritti. Nel ’71 furono papà e mamma Martelli a rilevare quel bar di Via
Scarpa, dove c’erano i bigliardi e si giocava d’azzardo, ma non fu facile ripulire
l’ambiente, poi nell’82 arrivarono i figli: Andrea, che aveva appena terminato
architettura, e Pamela che allora studiava danza. I ragazzi diedero impulso alla
neonata attività di paninoteca e birreria, ai tavoli delle due sale interne si
sedevano comitive di amici, coppie al primo appuntamento, cadetti della vicina
Accademia, che allora potevano frequentare solo determinati locali. 

Un banco
originale degli anni ’50 all’ingresso, ed entrando una serie di vetrine con
un’importante collezione di oltre 800 birre, alcune introvabili, panche, lunghi
tavoli di legno, ambiente raccolto, un po’ di musica di sottofondo, un luogo dove
era di casa il gruppo dei Gaz Nevada, dove qualche volta si vedevano Vasco
Rossi insieme a Massimino, e anche Vinicio Capossela. Andrea è un gestore
appassionato, gli piace quel mestiere, conoscere gli ospiti, incontrare le
persone e lasciare loro qualcosa: “cerchiamo
di educare i clienti, facendo attenzione che non eccedano, bere è una
tradizione che viene da lontano, ma occorre non oltrepassare il limite. Dietro
a ogni bottiglia c’è una storia, una ricetta tramandata da un monaco erborista,
un’ antica dinastia di distillatori, l’intuizione di un appassionato artigiano.
Mentre il cliente si evolve rapidamente,  cominciano a vedersi comitive che arrivano in
birreria con una persona che quella sera non berrà, un accompagnatore che li
riporterà a casa”.

Link: Resto del Carlino

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