Nadia Santini: dalla sociologia alle Tre Stelle Michelin

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A PASSO DI DONNA
Nadia Santini: “La
prima volta? Cucinai un quintale di pasta…”
Unica
italiana a tre stelle, immaginava un futuro da sociologa. Qui ricorda gli inizi
avventurosi e la sua svolta.
di Maria Laura
Giovagnini
CHI È
Nadia Santini, nata nel vicentino, è
cresciuta in una fattoria del mantovano (“Si comprava solo il pane, tutto il
resto era prodotto in casa”). Chef autodidatta, dal 1974 lavora “dal
Pescatore”, fondato nel 1925 dal nonno del marito Antonio a Runate, presso
Canneto sull’Oglio (Mn). Il ristorante, nella cui gestione oggi sono coinvolti
anche i figli Giovanni e Alberto (oltre alla suocera Bruna), si è guadagnato le
tre stelle Michelin già nel 1996. Ad aprile Nadia è stata proclamata Veuve
Clicquot World’s Best Female Chef 2013 . Praticamente, la migliore chef del
mondo. Ma resta la persona alla mano di sempre: se chiamate per prenotare,
spesso risponde lei…
COME RACCONTA IL
SUO PERCORSO
“Quando io e Antonio abbiamo iniziato
l’avventura, questa era una trattoria di campagna, molto ben frequentata:
Gianni Brera veniva tutte le settimane con i pittori dei Navigli. Nel 1974,
dopo che siamo tornati dal viaggio di nozze (un mese e mezzo in Francia per
“studiare” i ristoranti tre stelle), abbiamo deciso di rivoluzionare gli
ambienti: spazio fra i tavoli, meno pareti e più vetri per un dialogo tra
l’interno e il giardino, una sala per la lettura, una per chi vuole fumare un
sigaro. Tutto, però, con una ferma convinzione: rimanere fedeli all’Italia, nel
cuore e nei piatti”.
IL MOMENTO DELLA
SVOLTA
“Il 9 maggio 1978 (lo ricordo bene, era il
giorno in cui hanno ritrovato Aldo Moro cadavere). Siamo entrati per la prima
volta al “Sole” di Maleo, grande tempio culinario vicino a Lodi. L’incontro con
Franco e Silvana Colombani, i proprietari, è stato fondamentale: ci ha fatto
capire quale armonia vada cercata per essere felici anche lavorando 16-18 ore
al giorno. Erano gli anni in cui la nostra cucina iniziava a mostrare qualche
limite, bisognava rivedere alcuni principi. Così Franco, Antonio e altri sei
amici hanno fondato l’associazione Linea Italiana, per valorizzare –
rinnovandola – la nostra tradizione”.
IL PRIMO PIATTO
PREPARATO
“A nove anni. Mia madre era andata dalla
nonna, che stava poco bene: mi aveva lasciato il sugo, chiedendomi di cuocere
la pasta. Non avevo idea delle quantità, così ho misurato le porzioni con i
piatti. Una volta cotta è risultata tanta, ma così tanta che ho creduto a un
nuovo miracolo dei pani e dei pesci!”.
I “VICOLI
CIECHI”
“Io e Antonio ci eravamo iscritti a Scienze
politiche a Milano, con indirizzo sociologico. Ma era il post ’68, tu studiavi,
arrivavi a dare l’esame e il professore non c’era o non poteva entrare in
classe… Questo ci ha demotivati: in noi non c’era il “seme della
rivoluzione”. Per me è impossibile pensare che dalla rabbia possa sortire
qualcosa di eccellente. Così abbiamo lasciato. Ma, in fondo, cosa c’è meglio di
un ristorante per vedere la sociologia applicata?”.
COSA PENSA DELLA
MODA DELLA CUCINA IN TV
“Passerà, come sono passate le varie isole
dei più o meno famosi: la moda è fatta per passare, la cultura per rimanere.
Così come sta scomparendo la mania della cucina fusion, che si era trasformata
in con-fusion. Il risultato? Far rivalutare ancora di più la nostra tradizione.
Che è fatta anche di una stretta collaborazione, in famiglia e con i
dipendenti: per arrivare a un nuovo Rinascimento, bisogna prima tornare
all’Umanesimo”.
LE SCARPE CHE
INDOSSAVA
“Un paio di mocassini. Dalla prima media
alla terza superiore sono stata in collegio dalle suore, a Verona. Il mio modo
di vestire è rimasto sempre segnato dal periodo passato lì. Per sentirmi a posto,
devo avere una gonna blu a pieghe e una camicia bianca. Mai indossato un paio
di pantaloni”.

Link: Io Donna del Corriere della
Sera

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