Postiamo volentieri
un articolo di qualche anno fa firmato da Enzo Vizzari sul maestro della cucina
italiana Gualtiero Marchesi:
un articolo di qualche anno fa firmato da Enzo Vizzari sul maestro della cucina
italiana Gualtiero Marchesi:
Gualtiero Marchesi,
spartiacque nella storia della cucina italiana
di Enzo Vizzari
Già
nella prima edizione della Guida ai ristoranti d’Italia de L’espresso, nel
1978, Gualtiero Marchesi era ai vertici. Nella scheda riferita al suo
ristorante parole valide tutt’oggi. Per un maestro dalla creatività evergreen
nella prima edizione della Guida ai ristoranti d’Italia de L’espresso, nel
1978, Gualtiero Marchesi era ai vertici. Nella scheda riferita al suo
ristorante parole valide tutt’oggi. Per un maestro dalla creatività evergreen
“Chi ha mai
detto che la cucina italiana si era addormentata per sempre nelle sue
tradizioni e nei suoi compiacimenti? Gualtiero Marchesi dimostra il contrario
nello splendido e modernissimo ristorante che ha aperto nel 1977 in un
seminterrato di questa periferica strada borghese. Pur avendo già acquistato,
alla soglia della cinquantina, una seria reputazione con il “Mercato”…
ebbe in seguito l’idea e la modestia necessaria per fare un “ritiro”
in Francia, dai fratelli Troisgros, a Roanne. Qui in sei mesi gli si sono
aperti gli orizzonti della libertà e della verità. Ed eccolo, ritornato a
Milano, accingersi a elaborare nel suo ristorante una “nuova cucina”
che segue con intelligenza uno stile tipicamente italiano. Preparazioni
leggerissime, cotture brevi per far ritrovare agli ingredienti il loro sapore
originale, piatti cucinati al momento dell’ordinazione, prodotti freschissimi e
una continua inventiva messa al servizio delle antiche tradizioni lombarde. Il
menu di Gualtiero (30.000 lire, più i
vini) è una vera festa nella sua apparente semplicità…”.
detto che la cucina italiana si era addormentata per sempre nelle sue
tradizioni e nei suoi compiacimenti? Gualtiero Marchesi dimostra il contrario
nello splendido e modernissimo ristorante che ha aperto nel 1977 in un
seminterrato di questa periferica strada borghese. Pur avendo già acquistato,
alla soglia della cinquantina, una seria reputazione con il “Mercato”…
ebbe in seguito l’idea e la modestia necessaria per fare un “ritiro”
in Francia, dai fratelli Troisgros, a Roanne. Qui in sei mesi gli si sono
aperti gli orizzonti della libertà e della verità. Ed eccolo, ritornato a
Milano, accingersi a elaborare nel suo ristorante una “nuova cucina”
che segue con intelligenza uno stile tipicamente italiano. Preparazioni
leggerissime, cotture brevi per far ritrovare agli ingredienti il loro sapore
originale, piatti cucinati al momento dell’ordinazione, prodotti freschissimi e
una continua inventiva messa al servizio delle antiche tradizioni lombarde. Il
menu di Gualtiero (30.000 lire, più i
vini) è una vera festa nella sua apparente semplicità…”.
Così,
nell’autunno del 1978, la prima edizione
della Guida de L’espresso presentò il ristorante di Gualtiero Marchesi e
subito lo collocò al vertice della classifica, accanto a Cantarelli, Guido
Alciati, Paracucchi e San Domenico. Quella scheda, scritta da Federico Umberto
d’Amato, nella parte in cui fotografa la cucina di Marchesi e il suo
“credo” gastronomico, è di lampante attualità, riflette il
fondamentale assunto marchesiano che” in ogni arte la grande raffinatezza
consiste nella sintesi e nella semplicità.
nell’autunno del 1978, la prima edizione
della Guida de L’espresso presentò il ristorante di Gualtiero Marchesi e
subito lo collocò al vertice della classifica, accanto a Cantarelli, Guido
Alciati, Paracucchi e San Domenico. Quella scheda, scritta da Federico Umberto
d’Amato, nella parte in cui fotografa la cucina di Marchesi e il suo
“credo” gastronomico, è di lampante attualità, riflette il
fondamentale assunto marchesiano che” in ogni arte la grande raffinatezza
consiste nella sintesi e nella semplicità.
Sottolinearlo
non è originale, ma non si può fare a meno di ribadire che la storia della cucina italiana è attraversata da un netto
spartiacque: il “prima di Marchesi” e il “dopo Marchesi”.
Senza nulla togliere e anzi pur esaltando il ruolo dei pochi grandi che l’hanno
preceduto (Bergese, Mirella Cantarelli, gli Alciati…) sulla via della
valorizzazione del patrimonio rappresentato dalle nostre cucine regionali,
nessuno può negare che la cucina italiana moderna abbia visto la luce in via
Bonvesin de la Riva. Quel ristorante, elegante e raffinato pur nella non felice
collocazione sotterranea, fu il primo in Italia dove si poteva vivere
non è originale, ma non si può fare a meno di ribadire che la storia della cucina italiana è attraversata da un netto
spartiacque: il “prima di Marchesi” e il “dopo Marchesi”.
Senza nulla togliere e anzi pur esaltando il ruolo dei pochi grandi che l’hanno
preceduto (Bergese, Mirella Cantarelli, gli Alciati…) sulla via della
valorizzazione del patrimonio rappresentato dalle nostre cucine regionali,
nessuno può negare che la cucina italiana moderna abbia visto la luce in via
Bonvesin de la Riva. Quel ristorante, elegante e raffinato pur nella non felice
collocazione sotterranea, fu il primo in Italia dove si poteva vivere
l’atmosfera
degli haut lieux della ristorazione mondiale.
degli haut lieux della ristorazione mondiale.
La
lezione di Marchesi – il quale come pochi altri ha colto e fatto propria
l’essenza rivoluzionaria del messaggio della “nouvelle cuisine” – è
trasversale e ha segnato in profondità il lavoro di tutti i cuochi italiani
delle ultime generazioni, sia quelli che professano fedeltà alla cucina
tradizionale o del loro territorio sia quelli che hanno scelto di cimentarsi
sul terreno della ricerca e della sperimentazione.
lezione di Marchesi – il quale come pochi altri ha colto e fatto propria
l’essenza rivoluzionaria del messaggio della “nouvelle cuisine” – è
trasversale e ha segnato in profondità il lavoro di tutti i cuochi italiani
delle ultime generazioni, sia quelli che professano fedeltà alla cucina
tradizionale o del loro territorio sia quelli che hanno scelto di cimentarsi
sul terreno della ricerca e della sperimentazione.
E
non è un caso che molti fra gli esponenti di punta della “nuova cucina
italiana” – da Cracco a Crippa, da Oldani a Berton, da Lopriore a Vittorio Fusari –
con orgoglio e riconoscenza si dichiarino esplicitamente figli di Marchesi,
pur nella diversità delle vie che il talento di ciascuno ha suggerito. Non c’è
cuoco italiano contemporaneo, insomma, che possa non dichiararsi tributario del
Marchesi-pensiero. Questa è la realtà, al di là degli eccessi di retorica che
probabilmente accompagneranno il fitto programma di iniziative in vista del
compleanno del Maestro, ormai da tempo legittimamente più impegnato nelle
celebrazioni che nella creazione di nuovi piatti.
non è un caso che molti fra gli esponenti di punta della “nuova cucina
italiana” – da Cracco a Crippa, da Oldani a Berton, da Lopriore a Vittorio Fusari –
con orgoglio e riconoscenza si dichiarino esplicitamente figli di Marchesi,
pur nella diversità delle vie che il talento di ciascuno ha suggerito. Non c’è
cuoco italiano contemporaneo, insomma, che possa non dichiararsi tributario del
Marchesi-pensiero. Questa è la realtà, al di là degli eccessi di retorica che
probabilmente accompagneranno il fitto programma di iniziative in vista del
compleanno del Maestro, ormai da tempo legittimamente più impegnato nelle
celebrazioni che nella creazione di nuovi piatti.
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