LAMBRUSCO SEMPRE MEGLIO anche per ASIMOV

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IL LAMBRUSCO
RICONQUISTA L’AMERICA
di Luciano Ferraro
Era un partigiano tosto Walter Sacchetti, nome di battaglia Spartaco. Uno che, finita la guerra, capì al volo il discorso di Palmiro Togliatti a Reggio Emilia nel 1946, quello dell’unione «pacifica delle ragioni del lavoro e del capitale» per dimostrare che i «comunisti fanno star bene il popolo». Il denaro e il marxismo, ovvero le grandi coop dal Dopoguerra alla fine dell’illusione di fare la rivoluzione con supermercati e cantine. Sacchetti divenne senatore e «ambasciatore» delle coop emiliane nel mondo. Un giorno, sul finire degli anni Sessanta, incontrò John Mariani a Milano, proprietario di Villa Banfi, allora una società di import di vini prima di diventare il trampolino di lancio planetario del Brunello di Montalcino. Convinse John a portare qualche cassa di Lambrusco negli States. E le casse diventarono, dopo un po’, 11 milioni l’anno. Un vino facile, così facile che finì persino in lattina. Il successo di marketing socialista nel regno del capitale venne guidato dalle Cantine Riunite del presidente Sacchetti (il figlio Ivano, mezzo secolo dopo, non ha avuto uguale fortuna, è finito nei guai per la tentata scalata di Unipol a Bnl con Giovanni Consorte). Alla fine degli anni Ottanta, la gioiosa marcia all’estero del Lambrusco perse tutta la sua potenza: il palato dei consumatori americani di vino era diventato troppo attento per quel vino simpatico ma dalla struttura lieve. Il nome del rosso spumeggiante è stato per anni accostato a bottiglie di fascia bassa. Un vinello. Lo chiamavano The Italian Coca Cola. Giudizio immeritato. Piano piano, vignaiolo dopo vignaiolo, ponendo fine allo sfruttamento intensivo dei vigneti e lavorando il vitigno come altri grandi d’Italia, tra Modena, Parma e Reggio Emilia è nato un movimento spontaneo di quello che Ernesto Gentili e Fabio Rizzari, curatori dei Vini d’Italia 2013 dell’Espresso, chiamano il Lambrusco d’autore. Un salto di qualità che ora convince nuovamente gli americani. Il neo Lambrusco ha stregato prima il critico del New York Times, Eric Asimov. Che ha parlato di una «rinascita a New York», a partire dalla liste dei vini dei ristoranti («Ehi, rilassati — ha scritto rivolgendosi al suo lettore ideale — non parlo del vecchio Lambrusco, ma di quello secco, asciutto, gioioso e rinfrescante amato da milioni di persone»). E ora arriva anche la «consacrazione» di Wine Spectator, il periodico del vino più diffuso negli States. Alison Napjus,
senior tasting coordinator della rivista, lo ha descritto così: «Va dal secco e il piccante al leggermente dolce, soprattutto l’amabile». Il Rinascimento del Lambrusco ha prodotto bottiglie sorprendenti. Come il Rosè Metodo classico di Cantina della Volta, un Lambrusco di Sorbara dal colore sfumato di una buccia di cipolla, opera di Christian Bellei, da due anni staccatosi dall’azienda del padre Francesco. «Mi sono regalato il sogno di una cantina tutta mia», spiega Christian. E i risultati si sono visti subito: il Rosè è stato uno dei protagonisti applauditi dell’ultima edizione di Autochtona a Bolzano. Tradizionale, spumoso, quasi violaceo il Lambrusco del versante parmense di Monte delle Vigne, dal 2004 diretta dal costruttore Paolo Pizzarotti, 60 ettari e una spettacolare barricaia sotterranea. Mezzo secolo di storia ha, nella zona, Airola di Marcello Ceci: il suo nome è nella bottiglia-bandiera dell’azienda: «Dolce ma non troppo, di bassa gradazione alcolica», è la sua filosofia.
Sempre nel Parmense fresco e corposo il Lambrusco del vignaiolo biodinamico Camillo Donati, che usa il metodo della rifermentazione naturale in bottiglia, «evitando ogni forzatura termica o chimica». La stessa filosofia di Luciano Saetti, che si dedica al Salamino di Santa Croce: il suo è un Lambrusco fuori dagli schemi, armonioso in modo inaspettato. Tra i capisaldi del Lambrusco c’è la cantina centenaria Medici Ermete, nel Reggiano: il suo Concerto, con uve Salamino, è robusto e vivo. La tradizione è ben rappresentata anche dalla Cleto Chiarli, azienda da milioni di bottiglie l’anno: produce una linea di Lambrusco Grasparossa e Sorbara, svetta quello del Fondatore. Il Grasparossa della Tenuta Pederzana, nel Modenese, interpreta in modo non convenzionale la storia del vitigno, in linea con la forza giovanile del proprietario Francesco Gibellini. Nella classifica di Asimov sul podio c’è, assieme alla Cleto Chiarli, la Fattoria Moretto, solo 6 ettari di schiettezza biologica, a Castelvetro. Gentili e Rizzari hanno invece coronato, assieme al Rosè di Cantina della Volta, il Lambrusco di Sorbara di Villa di Corlo, guidata da Antonia Munari Giacobazzi. Evoca profumi di «lampone e fiore di camomilla». Con il suo ottimo rapporto qualità-prezzo, (da 6 euro), sarebbe piaciuto anche all’ambasciatore del Lambrusco in America, Walter Sacchetti.
Luciano Ferraro, 52 anni, capo redattore delle Cronache italiane del Corriere della Sera. Da Veronelli negli anni ’80, ha imparato che dietro a ogni vignaiolo c’è una storia da raccontare. Autore di alcune guide alle enoteche d’Italia, ai tempi in cui non esistevano i wine bar.

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