La festa dove ti aggiustano il pc
Nata a Londra, arriva a Milano: riparazioni fra caffè e birra Dagli elettrodomestici ai telefonini, laboratori di quartiere
Nata a Londra, arriva a Milano: riparazioni fra caffè e birra Dagli elettrodomestici ai telefonini, laboratori di quartiere
Tutto s’aggiusta? Facile a dirsi. Quando si parla di tecnologia la realtà è più complicata, soprattutto se con l’elettronica non si ha dimestichezza e se l’unica idea che ci viene in mente, quando un elettrodomestico o il pc smette di funzionare, è di provare a spegnere e riaccendere, accanirsi contro il mouse o scuotere nervosamente il tablet.
Partendo da questa consapevolezza sono nati a Londra, e a breve è previsto lo sbarco in Italia, i Restart Party : feste a tema riparazione, dove ci si scambiano problemi e competenze. Chi ha la radio, il computer o il frullatore rotto lo porta con sé, mentre qualcun altro, quelli che ne sanno, mettono a disposizione il loro saper fare. Per aggiustare e imparare a farlo, invece di buttare via. Con un occhio all’ecologia e uno al portafoglio: perché se riciclare è verde, evitare il cestino lo è ancora di più.
L’idea è venuta a Ugo Vallauri, trentacinquenne di Bra, insieme a Janet Gunter, 33 anni. Sono i due fondatori di Therestartproject.org . «Organizziamo i party in pub, gallerie d’arte o biblioteche», racconta Vallauri. E la partecipazione non è mancata: «Le persone arrivano con computer portatili, stampanti o telefonini. C’è chi ha portato una radio, un frullatore o un rasoio elettrico. Si beve qualcosa insieme, si chiacchiera e si collabora, si fa comunità». Aspetto, questo, non secondario. Perché spesso, quando si vuole riparare qualcosa, non ci si fida di chi fa il lavoro: il timore è che magari si trattava di una vite da fissare e il conto parla invece di svariate operazioni per centinaia di euro.
Il Restart Project vuole anche sviluppare una piattaforma online per fornire suggerimenti per il «fai da te» e una mappa dei tecnici a cui rivolgersi, insieme a gruppi di «riparatori volontari». Rivolgendosi all’altra faccia dei tecnoutenti: a chi non si mette in coda per l’ultimo modello di telefonino che aspettava con ansia. «Si tratta di sfatare un tabù: spesso non hai bisogno di un computer nuovo», continua Vallauri, che anticipa l’idea «di organizzare un Restart Party in Italia all’inizio del nuovo anno».
Troverà terreno fertile. La riparazione in Italia sta tornando di moda. «La crisi pare allungare la vita media dei beni», si legge nel rapporto Findomestic di novembre sui consumi: «Per cellulare e pc la vita è allungata di circa 2 anni». Anche se per questi ultimi resiste ancora una tendenza usa e getta: il 42% degli italiani cambia lo smartphone, e il 32% il computer per l’effetto novità.
Così anche in Italia si sta diffondendo il verbo della riparazione. A Milano, per esempio, c’è l’esperienza di PcOfficina, con incontri settimanali: «Il modello è quello della ciclofficina. Non è un laboratorio dove lasci il tuo portatile da riparare e poi passi a ritirarlo. Ci si vede, magari si beve una birra, e si aggiusta insieme», spiega Giovanni Sposito, 32 anni, ingegnere biomedico, tra i fondatori. L’associazione pratica anche la «nobile arte del trashware » (da «trash», spazzatura, e hardware): recupera quanto viene dismesso da privati o aziende per progetti che già hanno fornito attrezzature informatiche a scuole elementari e carceri minorili.
L’associazione Ohibò, sempre a Milano, ha deciso di fare un passo più in là e puntare soprattutto all’educazione. Già il nome del progetto, «Oratorio digitale», dà l’idea di quello che vuol essere un «momento di aggregazione, giocoso ma costruttivo, rivolto a ragazzini dagli 11 anni in su, magari con il coinvolgimento dei genitori», spiega il curatore Emilio Della Sala, 35 anni, ingegnere aeronautico. Cosa si impara in questo oratorio? «A non piangere: tutto quello che si rompe, dal giocattolo all’apparecchio elettronico, si ripara. Insieme». Di più: «Si impara a non aver paura della tecnica e della matematica. E a riflettere davvero sui desideri e sulle necessità. Non vogliamo creare dei tecnomaniaci, anzi invitiamo a riflettere: il telefonino o il lettore mp3 all’ultimo grido mi serve davvero o lo voglio perché l’ho visto al compagno di classe?». L’idea è quella di creare un laboratorio di quartiere: «Dove la mamma viene con il figlio e porta l’aspirapolvere che non va più. E lo si aggiusta insieme». La sfida all’elettronica usa e getta è stata lanciata.
Renato Benedetto
Postato Corriere.it rbenedetto@corriere.it