Marta Pulini
& La Brasseries
di Luca Bonacini
Nella Modena degli anni ’80, si andava da Benito, da Denny, alla Mandragola, alla Vecchia Scarpa, al Club 37, all’Osteria del Teatro, c’erano le paninoteche, le trattorie, i ristoranti eleganti da guida, e un paio di american bar, poi c’era la Brasseries. L’elegante locale posto all’angolo fra via San Giacomo e Corso Canalchiaro, aveva qualcosa di insolito, forse quella particolare atmosfera un po’ francese, dove imperavano il liberty, gli specchi e il colore bianco, c’erano il lungo banco bar, il pianoforte a coda e i tavolini da cui si ammirava un cavedio allestito con grandi piante. Era la prima esperienza per Marta Pulini, una giovane donna con trascorsi nel tennis professionista e una passione senza confini per la cucina. Quando le mostrarono quel magazzino pieno di mobili polverosi, dove inizialmente voleva realizzare una scuola di cucina, ci volle tanta fantasia e molto senso pratico per immaginarsi l’ambiente modaiolo e sfolgorante che poi sarebbe diventato. Inaugurato nel settembre dell’83, fu da subito il locale del momento, tutti volevano affermare di esservi stati a cena, ricordo che anche io al primo appuntamento, vi portai la ragazza, che qualche anno dopo avrei sposato. Si andava per mangiarsi una crepes flambè, un sofisticato panino o qualche elaborato piatto dalla piccola cucina, e per ascoltare le note del piano man Giorgio Bertacchini, sicuri di incontrare qualcuno dei Nomadi, Flaco, Guccini, Tony Oriolo, Franco Ceccarelli, che senza farsi troppo pregare prendevano una chitarra e iniziavano a suonare. A Modena si veniva per i bolidi del Tridente e del Cavallino, ma non solo, grazie al sapere e alle diplomazie del gallerista Emilio Mazzoli, la città era divenuta il crocevia della Transavanguardia e in giro si vedevano Cucchi, Montesano, Schifano e Chia, alla sera a cena da Marta. La musica era l’altro primato, e mentre Pavarotti furoreggiava nei teatri di mezzo mondo, nella vicina Montale c’era l’affermata sala di incisione Maison Blanche dei fratelli Maggi, che attirava i maggiori big della canzone da Sting a De Gregori, da Gianna Nannini, a Zucchero, e il grande teatro era di casa con Albertazzi, Ronconi, Carmelo Bene, che dopo lo spettacolo raggiungevano il piccolo locale di via San Giacomo, per sedersi con Marta a cena. La necessità di nuovi stimoli, e il casuale incontro con un importante manager di Bice, la lussuosa catena di ristoranti italiani, convinse Marta a migrare a New York per seguire come Executive chef le aperture dei prestigiosi locali, nel mondo, mentre nel marzo dell’89 il locale veniva venduto, cambiando insegna e filosofia. I quindici anni, all’estero che seguirono, fecero di Marta una vera e propria celebrites, nel ’91 aveva già conseguito il titolo di miglior chef italiana in America, a cui sarebbero seguiti molti altri successi e riconoscimenti, e un rientro a Modena in grande stile nel 2002, con la creazione insieme a Sabrina Lazzereschi di Bibendum, un’innovativa società di catering. Ora una nuova sfida attende Marta: il ristorante la Franceschetta di via Vignolese insieme a Beppe Palmieri e a Massimo Bottura.
Pubblicato sul Resto del Carlino 2012